Con l’avvento della mercificazione della cultura è diventato d’uso comune pensare che tutti i libri, per il semplice fatto che sono stati scritti, abbiano lo stesso peso culturale.
È una demerita sciocchezza, ovviamente, nessun bravo libraio penserebbe mai che un libro di Camus ha lo stesso valore di un libro di Brosio. Il mercato è saturo di scrittori improvvisati che raccontano storie improbabili di conversioni sulla via di Damasco.
Esiste il filone delle storie di vita di ex star della TV, quello dei personaggi “famosi” caduti in disgrazia, quelli che si sono messi a scrivere libri di cucina e, soprattutto, quelli che hanno scoperto il business della fede.
Medjugorje va per la maggiore (si vocifera addirittura di un ex partecipante all’isola dei famosi, artista del niente, che, insieme ad altri personaggi come la Di Lazzaro e, appunto, Brosio, hanno scoperto che la fede fa vendere) ma sono aperti i casting ai luoghi della fede per eventuali conversioni, ai primi posti Lourdes e fra i religiosi più accreditati padre Pio.
Lo so, lo so, sono un libraio senza Dio, ateo e pure sbattezzato, anche un po’ frocio a dirla tutta, chissà che non trovi anche io, un giorno, la strada per la conversione. Magari divento etero e Povia può farci una canzone.
Un’altra intendo.
La frustrazione nel dover, ogni giorno, confrontarsi con autori e autrici che vengono spacciati/e per geni, novelli Capote o Harper Lee de noartri, genera nel libraio una sorta di snobismo culturale per il quale si tende a “rifiutare” il libro troppo sponsorizzato.
Lavorando in saggistica il mio rancore culturale si orienta verso quegli autori che, sfruttando il proprio “successo” televisivo, hanno pensato bene di scrivere un libro senza il quale l’umanità rischierebbe l’estinzione.
Quando la signora (dico signora perché, per il libro di cui sto parlando, la clientela è composta in maggioranza da donne over 45 all’apparenza borghesi) completamente ricoperta da pelliccia (compreso cappello, guanti e scarpe) per vestire la quale, probabilmente, hanno sterminato tutte le marmotte dell’Alaska, mi chiede il libro di Carlo Conti io sento lo stomaco irrigidirsi e cominciare a secernere l’acido gastrico che mi provocherà, prima o poi, un’ulcera di dimensioni stratosferiche.
Il presentatore più lampadato della storia ha un grande ascendente sulle teledipendenti italiane, le signore ci sono affezionate quasi quanto alla Clerici (c’è stata quasi una rivolta popolare nel periodo in cui l’avevano sostituita alla prova del cuoco), Conti è il marito che ogni signora impellicciata d’Italia vorrebbe avere.
Ma santo cielo, lo vedi ogni sera, feste comprese, in TV che bisogno hai di comprare un inutile e assurdo libro come il suo? Vuoi davvero che Carlo Conti sia il tuo ultimo pensiero prima di addormentarti?
Potresti scriverlo tu un libro:
“Noi che… si guarda Carlo conti in TV e non si può fare a meno di comprare il suo libro.”
Di solito, la signora impellicciata, è accompagnata da un’amica che ha preferito sterminare i visoni alle marmotte e che esclama guardandomi con aria di complicità:
“Certo che oggi scrivono proprio tutti, eh?”
Certo che scrivono tutti. Perché non dovrebbero farlo se poi c’è qualcuno disposto a comprare i loro libri?
Una delle scene che si ripetono di più è quella del “rimbalzo” da un piano all’altro dei libri che nessuno vuole esporre.
Lo dico per non essere licenziato (non si sa mai) purtroppo, e sottolineo purtroppo, tutti i libri che arrivano in libreria, anche i più inutili e quelli scritti peggio, vengono esposti.
Ma questo non significa che io esponga volentieri alcuni libri. Bisognerebbe avere il coraggio di dire: “No, io questo libro non lo espongo. È un insulto all’intelligenza.” Ma, si sa, nessuno campa d’aria e lo stipendio, anche se ridicolo, fa comodo a tutti.
“Lo prendi tu questo?”
“No, no guarda non ci penso proprio.”
“Ma di che parla?”
“Medjugorje.”
“Sì ma lui è un ex calciatore mandiamolo su in sport….”
Io le mie piccole, piccolissime soddisfazioni me le prendo sempre, però, in modo quasi ingenuo, facendo davvero la parte di quello che non conosce il testo che gli stanno chiedendo (sono un piccolo bastardo, lo so).
Come quella volta che un signore mi ha chiesto il libro dei Cesaroni. Figurati se non so cosa sono i Cesaroni, uno dei grandi modelli televisivi italiani (non ci stupiamo se siamo messi così male).
L’ho guardato dritto negli occhi con uno sguardo da cerbiatto.
“Scusi?”
“Il libro dei Cesaroni.”
“Mi perdoni… cosa sono i Cesaroni?”
Lui mi ha guardato come se fossi un marziano
“È un telefilm che danno in TV.”
“Ah…”
Ho risposto e in quella esclamazione, sibilata con aria di sopportazione, c’era tutta la mia frustrazione di novello libraio.
Marino Buzzi
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