Giornata molto importante per me, per
due ragioni.
La prima è mia nipote Cecilia che
oggi compie 18 anni e che sin dal primo giorno mi ha reso fiero.
Siamo praticamente cresciuti insieme, avevo 18 anni quando è nata ed
è stato subito chiaro per me che sarebbe stata come una figlia. È
stata la luce nei momenti bui, è la mia speranza per continuare a
credere nell'umanità. È giovane in uno dei momenti storici più
difficili che potessero capitare eppure non perde la speranza per un
futuro migliore e, soprattutto, è ancora capace di sognare.
La seconda ragione è che il 1 dicembre
è la giornata mondiale contro l'AIDS.
Una ricorrenza a cui tengo davvero
molto, prima di tutto perché ero un bambino negli anni in cui si
consumava il dramma della “peste” che la chiesa e anche molti
uomini di stato attribuirono a gay, prostitute e tossicodipendenti,
un linciaggio mediatico vergognoso che la storia tende a
dimenticare. Poi perché, nel corso di questi anni, l'HIV ha
raggiunto persone che amo e stimo, uomini e donne, eterosessuali e
omosessuali, perché l'AIDS, nonostante quello che la maggior parte
delle persone può pensare, esiste ancora e non si preoccupa
dell'orientamento sessuale delle persone. Non si muore più come si
moriva un tempo, la medicina ha fatto passi da gigante, ora le
persone affette da HIV e quelle sieropositive conducono esistenze
all'apparenza uguali a quelle di tutte le altre. Ma non è così. Ci
sono i continui controlli, ci sono gli effetti collaterali delle
medicine, c'è l'aspetto psicologico e quello sociale.
Non è facile e solo chi si trova nel
mezzo lo sa.
Quindi proteggiamoci, usiamo il
preservativo, facciamo i controlli, fermiamo questo maledetto virus.
Voglio parlare di HIV a modo mio
riproponendo la recensione a un libro che ho amato particolarmente
Sangue Dannato di
Bergamini edito da
Barbes. La
casa editrice, pare, non esiste più ma so, dal
blog di Loredana
Lipperini, che il progetto continuerà con una nuova sigla
editoriale. Barbes era una delle piccole grandi case editrici sul
mercato, libri coraggiosi e di qualità, facciamo in modo che chi fa
cultura non si senta solo in questo paese, acquistiamo libri di
quelle case editrici che non si limitano a puntare tutto sul
marketing, sui titoli ad effetto o sulle copertine.
Apro una piccola parentesi. Se fate una
ricerca sui libri sull'argomento, a parte "Sangue Dannato" e "AIDS: lo scandalo del vaccino italiano" (Feltrinelli, Agnoletto Vittorio, Gnetti Carlo, 145 p, 14 euro), non
destinati agli addetti ai lavori troverete che negli ultimi anni non
è stato pubblicato praticamente nulla.
Direi che questa cosa la dice lunga
sulla percezione che oggi abbiamo del problema.
Recensione
Devo parlare di un libro e lo devo fare
subito prima che i pensieri che affollano la mia mente si
sovrappongano e si confondano. Come sapete amo un certo tipo di
letteratura, a volte mi maledico per i libri che scelgo, spesso vado
ad intuito, non ho nulla contro la letteratura d'intrattenimento ma
io amo quella che riesce a darmi emozioni forti.
La fascetta sul libro che ho scelto,
per una volta, ha l'onestà intellettuale di non urlare al
capolavoro, di non paragonare l'autore a nessun altro grande della
letteratura, di non parlare di caso letterario. È una fascetta rossa
con una scritta in bianco che dice così: “Sopravvivere all'AIDS.
Tra romanzo e saggio, una dura e commovente testimonianza
sull'omosessualità e sulla malattia che ha sconvolto le relazioni
negli ultimi trent'anni”.
Il libro in questione è di Alexandre
Bergamini, il titolo è Sangue dannato edito da Barbes (
traduzione di Sylvia Zanotto, 256 p. 14 euro). È difficile parlare
di questo libro, lo è soprattutto se si è vissuto, attraverso la
violenza mediatica degli anni ottanta prima e dell'oblio mass mediale
dagli anni novanta in poi, la tragedia e l'esasperazione del percorso
della malattia chiamata AIDS.
Bergamini traccia, attraverso una
narrazione in bilico fra narrativa e saggistica, i punti salienti
della sua crescita: un padre paranoico, silenzioso, chiuso, una madre
che ha tentato per due volte il suicidio, un fratello maggiore che
muore suicida, il suo peregrinare in giro per il mondo, la sua
passione per l'Africa e, su tutto, il suo rapporto con il sesso che
diviene, senza essere descritto nei minimi dettagli, ossessione,
bulimia e, infine, malattia. L'autore, dopo aver dichiarato la
propria omosessualità in famiglia, viene cacciato dal padre. Inizia
una vita al limite, fatta di incontri, di fughe, di povertà. È
giovane negli anni in cui l'HIV si affaccia sul mondo con tutta la
sua carica esplosiva. Sono anni di grande confusione e falsità, i
mass media e la chiesa spingono per una colpevolizzazione di
omosessuali, prostitute e tossicodipendenti. Oggi sembrano anni
dimenticati, come tutte le cose negative sono stati in qualche modo
rimossi dall'immaginario collettivo. Eppure la campagna diffamatoria
che la chiesa e una certa politica portarono avanti in quegli anni
dovrebbe diventare materia di studio. L'Hiv non era percepito come un
virus potenzialmente pericoloso per tutti ma solo per alcune
categorie considerate “dannate”, quelle che, secondo i dogmi
ecclesiastici, andavano contro natura. Una peste divina che colpiva
solo i reietti della società colpevoli, secondo la chiesa, di
cercare di sovvertire “l'ordine naturale” delle cose. La storia
ci ha insegnato che l'ignoranza di queste posizioni ha contribuito a
far si che le persone eterosessuali si sentissero al sicuro da questa
malattia e continuassero a contagiarsi. Le persone omosessuali erano
trattate come appestate, untori della malattia divina e l'odio e
l'ignoranza di certe posizioni gettavano benzina sul fuoco. L'autore
fa interessanti collegamenti con il periodo nazista ( per
sottolineare le similitudini con certi comportamenti razzisti e
violenti) e non solo. Mette in evidenza lo scandalo delle trasfusioni
di sangue. Anche quando si scoprì il virus si preferì tacere e
vendere il sangue a paesi come la Cina. E, ancora, accenna agli
interessi farmaceutici nei confronti di questa malattia. Le persone
sieropositive venivano escluse dalla società, la confusione e la
paura avevano la meglio sulla ragione. Le ricerche scientifiche hanno
fatto passi da gigante, oggi le persone sieropositive conducono vite
(quasi) normali grazie anche ai farmaci. Allora, negli anni ottanta,
si moriva come mosche. Bergamini attraversa questi anni di paura da
spettatore e consapevole protagonista, vede i suoi amici morire, è
impegnato nella creazione di un'associazione per la prevenzione
dell'HIV eppure è incapace di proteggere se stesso.
Si apre, all'interno del libro e della
mia vita (non da ora ma ogni volta che leggo libri del genere si
acuisce in me il senso di isolamento su alcuni temi), una profonda
riflessione sul mondo maschile e sulla sessualità. Non esistono
grosse differenze fra i maschi omosessuali e i maschi eterosessuali,
gli stereotipi che ci vogliono più dolci, ecc... sono, appunto,
inutili stereotipi. A me basterebbe che fossimo più consapevoli ma
non è così.
La verità è che siamo, forse, solo
meno ipocriti e che molti di noi hanno una concezione più “aperta”
del sesso. Dico aperta (fra virgolette) e non libera perché la
libertà è ben altra cosa. Quel che mi sono abituato a vedere nel
corso degli anni è una dipendenza del maschio dal sesso. Dipendenza
che riguarda sia omosessuali che eterosessuali. Parlo del mondo gay
perché è quello che conosco meglio. Passo spesso per un freddo
bacchettone, come se a me il sesso non piacesse. In realtà, se posso
essere sincero, un certo modo di fare sesso mi provoca una profonda
tristezza. Non provo piacere negli incontri di qualche ora, non mi
sono mai interessati gli amplessi del sabato sera. Mi piace tutto
quello che c'è prima. Il gioco, gli sguardi, l'approccio, la
fantasia, l'attesa del bacio. Chiudermi in una stanza buia e calarmi
i pantaloni in attesa di un volto che non vedrò non mi interessa.
Non ne voglio fare una questione di morale, è una questione di punti
di vista. La sessualità non è una linea retta, come affermava
Kinsey, ognuno la vive come meglio crede. Ciò che manca è la
consapevolezza. Oggi ancor più di ieri. Una volta mia nipote mi ha
detto che una sua amica pensava che bastasse prendere la pillola per
difendersi dalle malattie sessualmente trasmissibili. Viviamo in una
società estremamente contraddittoria, sessuofoba, omofoba e misogina
in cui, però, l'ossessione per il sesso e per il corpo (inteso come
oggetto da vedere, mostrare, usare) impera su tutto. Ognuno può
scaricare pornografia di ogni genere con una facilità esasperante,
il sesso ci viene sbattuto in faccia in ogni luogo, dalla
televisione, alla letteratura. Eppure non esiste la consapevolezza
del sesso. Non esiste l'educazione sessuale, l'ignoranza, in questo
mondo di sesso, è estrema. Dopo la paura e la cattiva informazione
degli anni ottanta l'HIV ha smesso, da un punto di vista mediatico,
di esistere. Oggi è una malattia di cui non si ha consapevolezza
nonostante il numero dei nuovi infettati, ogni giorno, sia
allarmante. È passata l'idea che l'HIV è come un raffreddore, tanto
ci sono le medicine che ti permettono di portare avanti una vita
quasi normale. Ma l'HIV c'è e ha un costo sia a livello umano che
economico. Basterebbe continuare a fare prevenzione, basterebbe
ricominciare a parlare di sessualità, di rispetto, di educazione.
In questo senso il libro di Bergamini,
pur essendo un libro difficile (un libro che mi ricorda a tratti
l'esasperazione di Genet) è un libro importante, una finestra sul
passato e sul presente che ci ricorda un periodo storico che oggi
viene rivalutato mediaticamente puntando tutto sulla
spettacolarizzazione della musica e della moda di allora.
Aggiungo, infine, la polemica libraria.
Il libro di Bergamini è un libro scomodo, un libro che non troverete
impilato nei banchi centrali delle librerie, anzi, forse faticherete
anche a trovarlo in libreria. È questo il vero dramma delle librerie
di questi ultimi anni. Facile trovare libri che si dimenticano in
poche ore. Difficile trovare libri che hanno ancora una ragione
d'esistere.