Durante il salone del libro di Torino
c'è stata un'incursione, da parte degli attivisti di Greenpeace,
agli stand di Giunti e Rizzoli. Come potete leggere nell'articolo e
vedere nel video postato su Il Fatto Quotidiano (qui) gli attivisti
hanno cercato inutilmente di farsi ascoltare dai due grandi gruppi.
Certo forse non era il momento adatto per le due case editrici, lo
era molto di più per Greenpeace visto che le occasioni di
visibilità, quando si lotta per l'ambiente, sono sempre poche e il
salone del libro di Torino è una finestra importante sulla cultura
italiana (lo sanno bene i Massoni presenti con un loro stand, pare
che stiano cercando di annullare l'aria di cospirazione che gli gira
attorno. Peccato non abbiano pensato a distribuire ai bambini lecca
lecca con le simbologie massoniche).
Da animalista, ambientalista,
vegetariano e rompi scatole quale sono non posso che appoggiare
l'iniziativa di Greenpeace.
Vorrei però aggiungere qualcosa.
Rizzoli e Giunti sono fra i marchi più
importanti dell'editoria italiana. Entrambi hanno collane riservate
ai bambini e agli adolescenti, Giunti, oltre ai libri, fa anche
gadget e giochi per bambini.
Gli attivisti di Greenpeace sostengono
che: «È dal 2010 - afferma Chiara Campione di Greenpeace - che
chiediamo a Rizzoli e Giunti di adottare delle politiche della carta
a deforestazione zero senza avere risposte. I libri di questi editori
sono contaminati da fibre di legno duro tropicale provenienti dalla
distruzione delle ultime foreste indonesiane».
Per Rizzoli risponde Annamaria
Guadagni, responsabile dell’ufficio stampa, che sostiene che
“Abbiamo già detto in un comunicato che abbiamo accolto le loro
contestazioni. La produzione di cui loro parlano riguarda solo il 2-3
per cento della nostra produzione. Stiamo facendo delle verifiche,
venisse fuori che hanno ragione, provvederemmo”.
Stesso atteggiamento di apertura da
parte di Giunti che si dice disponibile al dialogo (anche se si deve
sempre arrivare alla provocazione per averlo, aggiungo io).
Il problema della deforestazione è un
problema serissimo che ci riguarda tutti. Oggi esistono tecniche
avanzate per evitare lo sfruttamento di zone come l'Amazzonia. Sono i
nostri polmoni, i polmoni del pianeta, se li distruggiamo per fare
spazio ai pascoli, per aumentare l'obesità della parte ricca e
occidentale del mondo (la carne non arriva di certo nel terzo mondo)
o per fare carta o, ancora, per costruire o produrre biocombustibile
(se volete saperne di più sull'argomento, fra i tanti documenti in
rete, vi segnalo la pagina Wikipedia qui) presto non avremo più
foreste.
Ma esiste anche un altro problema, è
un problema etico, terribilmente umano e riguarda il lavoro minorile.
Sono certo che sia Giunti che Rizzoli hanno portato avanti tutte le
ricerche sul caso ma non parlare di lavoro minorile, visto che alcuni
prodotti vengono fatti in Cina con carta proveniente dall'Indonesia,
equivale a mettere la testa sotto la sabbia. Contro il lavoro
minorile occorre invece stare sempre molto attenti.
Nessuno, quando si parla, per esempio,
di portare il lavoro all'estero che, secondo molti grandi
industriali, costa meno, si chiede come mai i costi legati al lavoro
sono inferiori. Tolto il discorso della burocrazia, che da noi è
vergognosa e non permette di lavorare, e delle tasse occorre però
anche dire che se la manodopera costa meno, in paesi come la Cina o
in paesi in via di sviluppo, in tanti casi, è a causa della mancanza
di tutele nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici. Io credo
che tutti i prodotti fatturati, prodotti, assemblati in paesi in cui
il lavoro minorile e lo sfruttamento del lavoro femminile e del
genere umano in generale, dovrebbero avere (non so se le hanno già)
specifiche certificazioni con controlli accuratissimi a livello
internazionale. Le grandi industrie, di tutti i settori, dovrebbero
in prima persona impegnarsi nel rifiutare lavori, servizi, parti per
assemblaggi, prodotti di ogni genere, senza certificazioni.
Dovrebbero, inoltre, controllare personalmente che non si faccia uso
del lavoro minorile e che lo stato dei lavoratori non sia
assoggettabile a quello di schiavi.
Purtroppo mi rendo conto che, invece,
il modello che anche il nostro paese ha sposato è quello di
risparmiare. Soprattutto sulla pelle delle lavoratrici e dei
lavoratori.
Mi auguro che Greenpeace, alla fine,
riesca ad ottenere qualche risultato. Non voglio comprare giochi o
libri per le mie nipoti con il dubbio che quei libri siano stati
fatti da altri bambini o che abbiano contribuito alla deforestazione
del mondo.
Appoggio Greenpeace!Però è triste che servano sempre azioni del genere per farsi ascoltare.che poi voglio vedere quanto veramente ascolteranno..purtroppo si sa come vanno queste cose..
RispondiEliminaSe vogliamo fare cultura sull'ecologia in ambito librario, spingiamo questi due standard: FSC (www.fsc.org) e PEFC (www.pefc.org)
RispondiEliminai board delle organizzazione sono gestiti da dei minchioni che si guardano di traverso (uno standard odia l'altro - sarà perchè sono in competizione?) ma l'idea di base è buona anche se attualmente rappresenta solo un circa 5% del mercato.
ah, il mercato è in forte crescita anche nel settore della stampa a commessa (dalla stampa delle bollette a quella tipografica)
meditate e ditemi che ne pensate.
Seamus
Chi segue Greenpeace costantemente come lo seguo io (modestia a parte), si renderebbe conto che i problemi alla fonte non si limitano solo alla deforestazione o allo sfruttamento del lavoro minorile. Ultimamente Greenpeace ha tenuto una lunga battaglia contro le aziende produttrici di tonno in scatola (Rio Mare prima di tutti che in pubblicità dice pure una frase tipo "prodotto responsabile" o qualcosa del genere), o la campagna tenuta qualche tempo fa per le aziende Adidas, Nike, ecc o quella tenuta contro la Mattel. Tutte le aziende del nord del mondo non si interessano minimamente all'origine dei prodotti primari con cui producono i loro prodotti finiti. Dalla confezione al prodotto venduto ci dovrebbero essere severissimi controlli perchè le aziende dovrebbero accertarsi che le confezioni siano riciclabili e provenienti da trattamenti "rispettosi dell'ambiente", i prodotti devono rispettare gli standard dell'ambiente non come la Rio Mare che compra tonni pescati senza ritegno e che distruggono l'ecosistema marino, o come le confezioni che contengono i giocattoli della Mattel rigorosamente di legno amazzonico o i tessuti provenienti dalla Cina venduti con i marchi altisonanti di Adidas e Nike che vengono prodotti con alcuni dei prodotti più dannosi per l'ambiente e che poi vengono scaricati nelle acque dei fiumi inquinando, come immaginerai, un numero mastodontico di ecosistemi acquatici e non. Le aziende produttrici del nord del mondo dovrebbero interessarsi di più della provenienza delle loro materie prime, senza limitarsi al discorso sfruttamento, deforestazione o limiti verdi delle immissioni delle proprie aziende, ma dovrebbero chiedersi come vengono prodotte/raccolte le materie prime, se si possono produrre/raccogliere con altri sistemi più ecologici e come dovrebbero essere smaltiti una volta venduti al consumatore. Il discorso dev'essere fatto a tutto tondo.
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