Come ho già detto qualche post fa,
durante le vacanze ho letto una biografia di Cristina Campo edita da
Adelphi e scritta da Cristina De Stefano dal titolo Belinda e il
mostro (molto interessante anche il libro di Monica Farnetti,
Cristina Campo edito da Luciana Tufani edizioni). La mia curiosità
nei confronti di Cristina Campo era forte, da tempo ne sento parlare
non solo come di un'ottima scrittrice ma anche per via della sua
vita. Eppure, sin dalle prime pagine, qualcosa mi ha indispettito e,
ben presto, la curiosità ha lasciato spazio alla perplessità.
Cristina Campo ( ma non è il suo vero nome) appare, sin dall'inizio,
come una donna estremamente ambigua. Suo padre, e lei pure vista
anche l'adorazione nei confronti di quest'uomo, è un simpatizzante
di Mussolini, frequenta l'ambiente fascista nel quale si trova a suo
agio. Lei stessa non ha mai espresso un parere negativo contro il
fascismo e, addirittura, ne rimpiange il “vivere semplice”,
guarda al suo passato con una continua nostalgia, prova per i soldati
tedeschi simpatia, umanità e amore. Senza chiedersi mai quale fosse
e dove stesse portando l'ideologia nazifascista, senza chiedersi
quante vite il nazismo stava spezzando. Cristina è intrappolata nel
suo mondo dorato fatto di ricordi adolescenziali tanto da
considerarsi “bambina” sino alla soglia dei vent'anni. Si
innamora di uomini difficili, traditori o sposati, non affronta mai,
pubblicamente, discorsi politici, è fissata con l'immaginario delle
favole e si lascia facilmente sedurre da improbabili misticismi sino
ad arrivare ad essere una fervente cattolica. Non abbandona mai
l'ambiente borghese che ben rappresenta e di cui fa parte. I momenti
più difficili, la sua famiglia, li vive dopo la caduta del fascismo.
Il padre viene allontanato e incarcerato, lei vive questi momenti
come una ingiusta privazione senza comprenderne a pieno le
motivazioni. Insomma non metto in dubbio il talento di scrittrice ma
trovo decisamente esagerato esaltare l'immagine di questa donna le
cui fragilità più grandi sono proprio legate alla chiusura e al
ripiegamento egocentrico sulla propria esistenza.
Anche Nuto Revelli, come la maggior parte di quelli della sua classe, fu da ragazzo un fervente fascista poi conobbe la Guerra che gli svelò brutalmente le menzogne di Mussolini e la vigliaccheria nazista, così egli divenne uno dei loro più acerrimi oppositori ... a sue spese infranse quel 'cerchio magico' in cui la famiglia e i paraventi istituzionali rinchiudono personaggi apparentemente privilegiati come la Campo (al secolo Vittoria Guerrini) i quali, a prescindere da qualsiasi considerazione su loro talenti e azioni, non riuscirono mai a valutare la Storia con oggettività: ciò li avrebbe costretti a mettere in discussione coloro che amavano e che costituivano per loro punti di riferimento imprescindibili, fino a svelarne le umane miserie. E di conseguenza, anche le proprie. Meglio rifugiarsi nel mondo dell'arte, delle fiabe, dell'infanzia idealizzata ove tutti sono buoni e senza macchia, anche i fanatici e gli assassini.
RispondiEliminaDetta così ha proprio poco d'affascinante questa biografia. Mi viene di respingerla una così. Io ho appena concluso una biografia di Alda Merini. Scritta da Luisella Vèroli intitolata "ridevamo come matte" e pubblicata dall'associazione di cui l'autrice fa parte: Melusine. Non è una biografia scritta post-mortem della Merini: è piuttosto un ricordo di lei attraverso racconti di vita, poesie, aforismi e quant'altro, dettati dalla stessa Merini in vita. Ci sono perfino delle foto. Ecco: più che biografia la definirei il corredo ad essa. Non è una biografia classica, non racconta quella che è stata la vita della poetessa se non in brevi stralci...piuttosto pare che chi legga il libro già debba sapere la "biografia classica" e può essere penalizzante per godere poi di questo testo. Io conosco il vissuto della Merini: più che altro mi sono informata telematicamente ma avrei preferito leggere su carta: hai un consiglio in merito? Altre biografie degne di nota, complete, interessanti? Grazie Jile bramosa
RispondiEliminaAvevo letto questa biografia quando era uscita (e sono passati una decina di anni) e la Campo non mi era sembrata una figura così negativa come la racconti tu. Ma non chiedermi i motivi perché mi ricordo molto poco. Poi avevo letto anche le lettere a Mita. Boh, a me la Campo ha sempre dato l'impressione della donna riservata, religiosa (ma non è necessariamente un male, è un modo di essere), fine, elegante, una perfezionista della scrittura ... una bella persona, con il suo modo di essere (ma forse a te dà fastidio il suo essere cattolica?) ;)
RispondiEliminastefano
Ciao Stefano, non il suo essere cattolica ma la sua ossessione sì. Comunque direi che Jona (messaggio sopra) ha espresso chiaramente anche il mio pensier.
Eliminaeviterei in partenza l'argomento usurato (e usurante) del "criticato in quanto di fede cattolica" che in questo caso c'entra nulla: Cristina Campo è stata un'ottima scrittrice, un'eccellente traduttrice e sicuramente ha subito (come altri) una certa emarginazione da parte degli ambienti intellettuali dominanti in Italia dagli anni '60 fino agli '80 (come ricordò anche Elémire Zolla, suo compagno di una vita); ciò detto, resta la sua condiscendenza (eufemismo) verso i delitti del nazifascismo (cosa che probabilmente le valse non poca ostilità) e soprattutto una concezione della religione cristiana che cozzava apertamente con le aperture del Concilio Vaticano 2., tra l'ammirazione verso antiche liturgie che di fatto celebrano una visione gerarchica e classista del mondo e aneliti misticheggianti dietro cui, a mio modesto parere, si ritrova il desiderio di fuggire una realtà in cui il caro, idilliaco microcosmo infantile era stato spazzato via insieme al proprio status sociale. Nel caso della Campo pesa anche un'infanzia solitaria e isolata (a causa di una malformazione al cuore) che la costrinse ancora più all'interno del proprio 'cerchio magico' forgiando una sensibilità poetica, sognante e arguta ma anche (inevitabilmente) incapace di andare oltre i propri presupposti.
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