Credo che la domanda che molti
operatori e molte operatrici del settore “libro” si pongono in
questa calda fine estate sia cosa aspettarsi dall'autunno (pare sarà
altrettanto caldo ma su altri fronti).
L'estate si è aperta con prospettive
poco favorevoli, a giugno la fotografia delle librerie, dei
distributori e dei gruppi editoriali mostrava un grosso segno “meno”.
Quello che è accaduto in questi ultimi
mesi è presto detto.
Dopo l'abbuffata di “altovendenti”
arrivati in libreria grazie ad accordi commerciali non sempre
azzeccatissimi, con scarsissimi risultati di vendita, si è passati
alla fase di “alleggerimento” che, detta in parole povere,
significa rendere un sacco di libri. Si è passati quindi da una fase
di “ingrossamento” della libreria a una fase di “snellimento
veloce” per molti motivi, in particolare per avere un monte merci
(con rispettivo pagamento) il più basso possibile.
L'enorme quantità ( e parlo solo di
quantità, non di qualità) di prodotti che hanno invaso le librerie
negli ultimi anni ha portato a una saturazione del mercato. I vari
filoni che, per un certo periodo, hanno permesso ad alcune case
editrici di ingrassarsi, sono letteralmente esplosi. A un certo
punto, a parte pochissimi casi (ripeto “pochissimi casi”), non è
più bastato comprare la vetrina o chiedere al libraio di turno di
costruire grattacieli con il presunto best seller. Le vendite sono
calate drasticamente, lo scontrino medio è sceso sia per numero di
libri che per prezzo del singolo libro, i lettori forti sono
diventati un po' meno forti e sono emigrati sulle piattaforme on
line. Persino il mercato di libri scolastici ha risentito della
profonda crisi economica e culturale che ci ha investiti. Oggi il
trand è quello di acquistare libri scolastici usati (che fanno
risparmiare oltre il 40% sul prezzo di copertina), di comprare libri
nuovi solo se non se ne può fare a meno e solo nei posti che
garantiscono lo sconto oppure direttamente on line. Non mancano i
casi di “scambio” libri fra gli studenti (metodo, fra le altre
cose, da non sottovalutare). Non tornerò sul discorso delle case
editrici e dei prodotti che hanno sfornato. Posso solo rilevare (e
ovviamente non parlo per tutte le case editrici) una scarsa
attenzione ai titoli “difficili”, una completa assenza di
interesse nel fare ricerca, il puntare, ancora una volta, su titoli,
copertine e storie accattivanti che stimolino pruriti erotici o che
incuriosiscano con thriller o gialli di un certo tipo (sino a quando
il mercato non saturerà anche questo filone). È stata, ancora una
volta, l'estate del “passa parola”, un passa parola fatto di
pubblicità estreme, vetrine comprate, sconti e prezzi accattivanti,
fascette demenziali. Prendo atto che molti lettori leggono quello che
i “consigli per gli acquisti” dicono loro di leggere e lo fanno,
e secondo me è la cosa più grave, in modo del tutto acritico. Il
gossip è entrato in libreria così come ci sono entrati calciatori,
star della tv, attori o attrici e molto altro.
C'è posto per tutti, si dirà. Ma, in
realtà, il posto, quello sugli scaffali, è sempre meno.
Dopo le rese selvagge si è finalmente
cominciato a capire che, forse, è il caso di far arrivare in
libreria meno titoli “del momento” e, magari, ricreare l'idea
che una libreria sopravvive se ha un buon catalogo. Il che non
significa necessariamente avere tutti i libri di ogni casa editrice,
al contrario, magari è possibile avere meno titoli ma che siano
titoli forti.
Lo “snellimento” non ha riguardato
solo i libri ma anche il personale, quindi è facile che entrando in
una libreria di catena vi troviate a dover cercare il libro da soli
visto che il “commesso” (e uso questa parola a proposito visto
che ormai la nostra professionalità di librai vale sempre meno) di
turno ha sempre più cose da fare, deve gestire situazioni al limite
del ridicolo, si scontra con una burocrazia cieca e sorda e, forse
(dico forse) ha persino perso l'amore per il suo lavoro. Sull'altro
fronte le case editrici non hanno ancora capito come vanno le cose.
Molte si stupiscono dell'enorme quantità di libri che tornano in
resa e del poco tempo che si dedica a un libro, inconsapevoli che
questa situazione, in realtà, hanno contribuito a crearla anche
loro. Se pubblichi duecento titoli la settimana e me li fai arrivare
in quantità da cinque a cinquanta copie, come pretendi che possa
dedicare spazio a tutti? È logico che, in queste condizioni, se un
libro non parte nel giro di trenta giorni il mese dopo finisce in
magazzino e quello dopo ancora, in resa.
Purtroppo, pare, molte case editrici
non ne vogliono sapere di pubblicare meno.
Alla domanda: come si esce da questa
situazione? Io rispondo con una ricettina che a me sembra semplice ma
che, a quanto pare, non lo è.
Intanto puntare sul servizio e non solo
a parole come si fa oggi. È logico che se mi si chiede di puntare
sul servizio e poi si taglia il personale, lo si demotiva, non si dà
l'opportunità ai singoli librai e alle singole libraie di “provare
piacere”in quello che si fa, attraverso corsi di formazione,
incentivi alla lettura, visite a mostre, interscambi culturali con
altre librerie (anche a livello europeo), crescita personale e molto
altro, sarà difficile poter dare un buon servizio.
Se devo conoscere i libri, essere
preparato sulle nuove uscite, seguire le notizie e gli avvenimenti,
essere culturalmente pronto sui vari fronti (cinema, musica, teatro,
ecc...) e poi, però, non mi si danno gli strumenti per farlo o non
si incentiva il singolo (se, cioè, mi devo comprare i libri, i
giornali, i biglietti alle fiere del libro, ecc...) difficilmente, in
tempi in cui non si arriva a fine mese (e io ci lascio interi
stipendi in libreria), si potrà parlare di crescita. Avere più
personale non è possibile? Benissimo. Allora rinunciamo ai
megastore, cerchiamo di capire che “grande” non significa
necessariamente più guadagni. Magari puntiamo su librerie di
dimensioni ridotte, che mantengano, comunque, una discreta centralità
delle piazze importanti.
Un esempio pratico.
A Bologna, a pochi metri le une dalle
altre, ci sono: Ibs.it Bookshop, Feltrinelli, Feltrinelli
international, Coop Ambasciatori, Mondadori. Librerie di grosse
dimensioni in cui è facile entrare e uscire senza aver acquistato
nemmeno un libro.
Quindi, rivedere le politiche legate
sia al rapporto con il territorio sia a quello con i propri
dipendenti, cercare realtà meno imponenti ma anche meno costose,
puntare sulla centralità del libro, sul catalogo e non sul best
seller di passaggio, smetterla di essere succubi delle grandi case
editrici (ma questo punto è impossibile visto che molte case
editrici sono poi anche distributrici e detengono anche le librerie),
puntare sulla qualità del sevizio, sulla preparazione dei librai e
delle libraie, sulla professionalità e la gentilezza.
Specializzarsi. In un mercato di “tuttologi” per sopravvivere
bisogna avere una forte identità. Per quanto riguarda le case
editrici si dovrebbe, a mio parere, pubblicare meno, puntare di più
sui singoli autori e le singole autrici, permettere ai prodotti di
rimanere in libreria almeno sei mesi, avere ben chiara la differenza
fra qualità e marketing, non uccidere la bibliodiversità
permettendo anche a case editrici minori e meno potenti, ma con buoni
prodotti, di avere lo stesso spazio dedicato alle grandi case
editrici. Ridurre le pile di “altovendenti”, rivedere gli accordi
commerciali per spingere le case editrici a fare scelte più
ponderate.
Potrebbe essere una via, o magari no,
questo è solo il mio personalissimo punto di vista.
Dobbiamo però aprire gli occhi e
renderci conto di una cosa: in questo paese si legge sempre di meno.
Prendiamone atto e cerchiamo di trovare il modo per invertire questo
tristissimo dato.