lunedì 14 gennaio 2013

Il libraio di lunedì: Vetrine

Apro la settimana con una breve considerazione, ormai ci siete abituate/i, se lo faccio non è per sparlare delle aziende o delle librerie di catena, sarei uno sciocco a farlo. Lo faccio perché credo che esprimere dissenso, sul blog e in libreria, sia comunque un modo per portare a una riflessione. Intanto, nello sconforto generale della situazione economica, vorrei segnalare, purtroppo, che anche la storica libreria Hoepli ha scelto la cassa integrazione per i propri e le proprie librai/e (l'articolo qui). È una notizia che non mi ha colto di sorpresa ma che mi ha profondamente rattristato anche perché ho avuto la fortuna di conoscere Ulrico Hoepli alla scuola per librai Mauri, è una persona di intelligenza e ironia rara, nei confronti del quale provo grande stima.
I segnali che arrivano da più parti sono sconfortanti ma credo ci sia ancora un margine d'azione. Per cambiare le cose però occorrerebbero menti illuminate (o almeno ragionevoli) pronte a mettere in discussione il sistema libro degli ultimi decenni, pronte ad abbandonare schemi e rigidità, ci vorrebbero coraggio, investimenti, ma forse, alla fine, basterebbe anche essere pronti a una rivoluzione culturale.
Che, detta così, sembra facile.
La cosa che non sopporto nel nostro lavoro è l'arroganza. L'arroganza di non voler vedere i problemi, di andare sempre dritti per la propria strada anche quando la strada è decisamente sbagliata, di trovare sempre capri espiatori, di continuare a tagliare senza guardare a cosa si sta tagliando e agli effetti che tali tagli producono. Il disamore per il proprio lavoro è, a volte, una conseguenza di un insieme dei fattori sopra elencati.
Lo sconforto (il mio non quello dell'economia) viene proprio dalla consapevolezza non solo che ai vertici non vogliono fare inversione di rotta ma anche dal fatto che ormai, per paura di veder mettere in discussione le proprie cariche, nessuno si oppone più a nulla.
Il pensiero preminente è: c'è la crisi, faccio quel che mi dicono e sto zitto così non rischio.
Non si sollevano i problemi e le cose vanno sempre peggio.
Ecco, siamo arrivati al punto, perché io, da libraio, ho un problema (ne ho parecchi a dire il vero ma ne affrontiamo uno alla volta) e quel problema è dato dalla cattiva abitudine che ormai tutte le librerie di catena hanno, di mettere a disposizione, per soldi, le proprie vetrine.
Ne ho già parlato, il fenomeno però sta prendendo piede e , temo (sempre che non lo si faccia già), ben presto anche gli spazi migliori, quelli in prima “battuta” (gli spazi cioè vicino alle casse o più visibili appena entrati in libreria), verranno “privatizzati”.
I libri in vetrina, soprattutto se le vetrine sono in zone di passaggio, hanno maggiori opportunità di farsi conoscere e vendere.
So che la libreria è, prima di tutto, un esercizio commerciale, ma continuo a trovare sbagliato, oserei dire quasi immorale, vendere le vetrine. Per una serie di motivi.
Il primo è che si toglie autonomia al libraio. Un tempo il libro finiva in vetrina se il libraio lo considerava meritevole, oggi hai una tabella da rispettare. Non importa che il libro sia un buon libro o un pessimo libro, la casa editrice ha pagato quindi va messo. Ovviamente un altro motivo riguarda la “meritocrazia”. Non tutte le case editrici possono permettersi di comprare le vetrine anzi direi che solo le grandi o quelle con soldi da investire lo possono fare. Questo va a discapito della bibliodiversità. Se devo dedicare un'intera vetrina ai vari “regali da...” o ai “misteri di...” con tanto di cartonato o gigantografie delle copertine non avrò l'opportunità di promuovere libri di case editrici minori. Già, aggiungerei, penalizzate dal fatto che in libreria viene sempre dato più spazio alle sigle editoriali potenti (parlo di spazi sia orizzontali che verticali) e sempre meno alle altre.
Probabilmente tutta la pubblicità è ingannevole ma se io passo davanti a una libreria e vedo un titolo in vetrina, da lettore ingenuo penso: “Se l'hanno messo in vetrina un motivo ci sarà...” magari penso che il buon libraio ha amato quel libro e ha deciso di promuoverlo. Quindi, nelle vetrine a pagamento, dovrebbe esserci una scritta che dice più o meno: “Questo spazio espositivo è stato acquistato dalla casa editrice per esporre il proprio prodotto”.
Alla fine, temo, si torna sempre al punto di partenza: forse ha smesso di credere nella cultura anche chi la cultura dovrebbe produrla. L'idea è che si devono fare soldi e visto che vendere i libri non basta più si trovano altri modi. Si taglia il personale, si riducono le spese (soprattutto quelle NON superflue), si incrementa il materiale “no book” (che va dalla cartoleria ai porta cellulari) che ha maggior margine rispetto ai libri e si (s)vendono le vetrine e gli spazi. Sembra insomma che a chi gestisce librerie poco importi del “bene” libro. Del resto non è neppure la prima volta che a capo di librerie viene messa gente che non ha un “trascorso” librario.
Allora, Signore e signori, come si esce da questo pantano?
Io credo con la consapevolezza.
Siate consapevoli, quando passate davanti alla vetrina di una libreria di catena e vedete quell'unico titolo in 50 copie con tanto di bel cartonato e foto dell'autrice o dell'autore, con quelle belle copertine ammiccanti piene di particolari del volto o uomini incappucciati, colorate e sgargianti, con fascette che urlano al capolavoro... fatevi qualche domanda.
E magari non cadete nella trappola.

7 commenti:

  1. la gente continua a cadere nelle trappole, travolgere cartonati, torri di pisa di libri di cucina e calciatori e a non voler capire.
    vendere le vetrine è orribile! sandra

    RispondiElimina
  2. forse ha smesso di credere nella cultura anche chi la cultura dovrebbe produrla.

    "Forse"? :-\

    minty

    RispondiElimina
  3. Sulla vetrina la capra campa, con libri caprini, ovviamente. ;)

    Forza e coraggio, ho grande fiducia nel lettore: non è un cretino. O almeno spero.

    RispondiElimina
  4. Io personalmente ho rallentato nel comprar libri ( non nel leggerli) perché sono diventati scadenti, solo apparenza , ma in realtà supporti/patacche, specialmente quelli delle grandi e medie case editrici, non mi va di spendere dai 12/20 euro per libri dalle pagine incollate invece che rilegate col filo, stampati in carte scadenti ecc...che senso ha prenderli? Preferisco allora leggerli tramite la biblioteca o sull'e- reader quando il prezzo è sui 5 euro...
    Continuo a comprare quei libri che mi interessano pubblicati da case editrici che ancora curano il supporto libro, tipo Marcas Y Marcos, Edizioni BD, Minimum fax,alcune collane Adelphi, Laterza, ecc
    Ma insomma grossi acquisti in libreria come facevo una volta non li faccio più, quella che producono ora è roba usa e getta per lo più, non certo roba che posso maneggiare con piacere e lasciare ai miei nipoti...
    Questo è solo il motivo per cui non prendo l'oggetto libro , poi ci sarebbe da parlare dei contenuti e della poca cura anche di quelli...
    Silvia

    RispondiElimina
  5. trovo squallida la vendita delle vetrine ma per lo meno

    […] nelle vetrine a pagamento, dovrebbe esserci una scritta che dice più o meno: “Questo spazio espositivo è stato acquistato dalla casa editrice per esporre il proprio prodotto”.

    RispondiElimina
  6. Si fa già Marino, si vendono anche gli spazi interni delle librerie purtroppo...

    RispondiElimina
  7. La rivoluzione culturale sta avvenendo... ma temo che non sia quella che i librai auspicavano.

    L'abbiamo visto per la musica: la gente si è stufata di farsi "preconfezionare" i prodotti (con cd costosi che magari contenevano solo uno o due brani degni di nota)... ed ha scelto la pirateria.

    Lo stesso sta accadendo con i libri. Forse editori e librai sono ancora in tempo... ma le case editrici si stanno comportando ancora più stupidamente dell'industria musicale, ripetendo gli stessi errori e dimostrando di non aver imparato nulla dalle esperienze negative altrui.

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.