Qualche considerazione sulla
presentazione che Loredana Lipperini ha tenuto a Bologna sabato 9
marzo per il suo nuovo libro (che non ho ancora letto, sarà la mia
prossima lettura dopo Cloud Atlas che si sta dimostrando più
interessante del previsto e che mi sta dando alcuni spunti di
riflessione importanti) Di mamme ce n'è più d'una
(Feltrinelli, 314 p., 15 euro). Innanzitutto il luogo scelto da
Loredana: una libreria. Può sembrare sciocco e banale, dove vuoi che
si svolga una presentazione di libri se non in una libreria? Ho però
la sensazione, ogni volta che entro in una libreria indipendente di
quelle in cui si respira passione e letteratura, che la libreria in
cui lavoro sia qualcosa di molto diverso. E non solo la mia
ovviamente, anche le altre librerie di catena. Sarà che ho
cominciato a pensare che non occorra, per forza, avere milioni di
libri da esporre, che non serva, necessariamente, avere le ultime
novità in decine e decine di copie, che forse gli spazi sono troppo
grandi e le pareti troppo bianche e asettiche e l'ambiente troppo
luminoso persino. E mi dico che, forse, una libreria di catena è
meno adatta a un lettore forte e appassionato e forse è più adatta
a un lettore di passaggio o che ha molta fretta o che è
disinteressato all'aria libraria. Forse noi esistiamo per permettere
al consumatore di poter consumare. Punto. E non fraintendetemi, non
ne faccio la solita questione da snob. È che quando entro in una
libreria di catena non ho la sensazione di sentirmi a casa, non penso
di voler passare in quel luogo ore a spulciare libri. Mi capita
invece quando entro in librerie come quella scelta da Loredana, Modo
Infoshop (via Mascarella 24 Bologna), piccola, accogliente, con i
libri sino al soffitto, le travi in legno, una saletta con due
poltrone che mi ha ricordato una sala della libreria Shakespeare
and Company a Parigi. È uno di quei luoghi che ti tolgono
l'ansia del tempo che passa, che ti restituiscono un'idea precisa di
cosa dovrebbe essere la letteratura. Certo non avranno mai un
catalogo come quello che potrete trovare in una libreria di catena o
sui siti on line. Però, non so come dirvelo, queste librerie che
resistono sono davvero un'altra cosa.
La presentazione.
Non posso, non avendolo ancora letto,
parlare nello specifico del libro ma posso però fare una sintesi di
quello che è accaduto in due ore e mezza di presentazione: gente
attenta, interessata, che ha partecipato con passione al dibattito. È
stata anche, fra le altre cose, un'occasione, anche per me, di
conoscere persone che frequentano il blog di Loredana Lipperini e,
alcune, anche Cronache dalla libreria. Al centro della discussione la
figura della madre o, per meglio dire, delle madri. Ma non solo:
generi, pubblicità, stereotipi, culture, modi diversi di vivere la
maternità, ruoli sociali, educazione. Ciò che ne è uscito è un
quadro decisamente più complesso di quel che mi aspettavo per mille
e più ragioni che Loredana affronta nel libro. Si è parlato anche
delle contrapposizioni interne ai vari movimenti, anche a quelli
femministi. Del disinteresse dimostrato, e parlo per esempio del
referendum sulla procreazione assistita che non ha raggiunto, se non
sbaglio nel 2005, il quorum, da parte della maggior parte delle
persone “non sterili” nei confronti delle persone con problemi di
sterilità. La sconfitta del referendum, contro cui la chiesa
cattolica fece enorme pubblicità, ha messo in evidenza l'importanza
di rivedere la legge sui referendum ma anche il fatto che un
problema, se non ci tocca da vicino, non è un “nostro” problema.
Avrei voluto intervenire su questo argomento (non l'ho fatto perché
ormai si era fatto tardi) perché se nei confronti delle coppie
sterili si è dimostrato disinteresse nei confronti delle coppie
omosessuali che desiderano avere un figlio (o che l'hanno già) si
dimostra, spesso, addirittura contrarietà e rabbia. Si utilizzano
due mezzi, solitamente. Si afferma che una coppia o una persona
omosessuale che vuole un figlio è “egoista” e si sfrutta la
figura del bambino per affermare che vengono lesi i suoi diritti.
Ora, perdonatemi ma questo post va
oltre la letteratura, vorrei sapere quale coppia eterosessuale è mai
stata accusata di essere egoista perché desidera un bambino. Se un
uomo e una donna decidono di avere un figlio è una cosa “bellissima”
se una/un single o una/un omosessuale desiderano o decidono di avere
un figlio sono degli egoisti. Perché? Credo che nessun si sentirebbe
in diritto di andare dalla peggiore coppia eterosessuale del mondo
che ha deciso di avere un figlio per dargli dell'egoista. Ci sono
casi di famiglie devastate (e devastanti) che hanno comunque prole e
nessuno direbbe mai loro che sono degli egoisti (certo poi si
interviene in altri modi). Dico questo perché, alla fine, sono certo
che non esista un modello giusto e uno sbagliato di famiglia. Così
come sono certo che non occorra necessariamente una figura paterna e
una materna per crescere un figlio o una figlia.
Un figlio non è un diritto e non è un
obbligo. Eppure, ancora oggi, se una donna a una certa età non è
ancora sposata e non ha prole viene vista come una “stramba”. Ho
amiche che si sentono spesso chiedere da conoscenti e parenti come
mai non si siano ancora sposate e non abbiano ancora avuto figli.
Questa cultura ci è talmente entrata dentro che a volte ci fa
persino sentire in colpa.
Il retaggio culturale non si cancella
in pochi anni, occorre un lavoro lungo e lungimirante, snervante
anche per far passare alcuni concetti.
Quando dico che mi piacerebbe avere una
figlia mi sento spesso rispondere che penso solo a me stesso, che i
bambini di coppie omosessuali vengono discriminati, che si sentono
dei diversi, che avranno dei problemi. Scusate ma di chi è la colpa?
Mia che desidero un figlio o di coloro che pensano che io non abbia
diritto, per il semplice fatto di essere omosessuale, alla paternità?
Le coppie glbt con figli esistono già, le loro esistenze sono
identiche a quelle di tutte le altre famiglie, se i loro figli
vengono discriminati è forse per colpa loro? Guardate, l'assenza di
leggi a favore delle persone GLBT si ripercuote, per forza di cose,
anche sui loro figli e sulle loro figlie. In una coppia omosessuale
con prole la genitrice o il genitore legittima/o è solo quella/o
biologica/o. L'altra/o, per la legge, non ha diritti. Immaginate cosa
accadrebbe se il genitore o la genitrice biologico/a venisse a
mancare.
E ancora, tornando alle donne ma anche
alla paternità, il nostro è un paese che fonda la propria “storia”
sulla propaganda famigliare. Perché dico propaganda? Perché le
famiglie esistono solo nel periodo della campagna elettorale e
vengono prese in considerazione solo quelle “classiche” (meglio
se consacrate in chiesa). Le varie forme famigliari non vengono
minimamente prese in considerazione. Si dice che si fanno pochi figli
e, allo stesso tempo, non si tutelano le donne, non si tutela il loro
lavoro, si riduce sempre di più il budget alle persone, ormai siamo
arrivati al livello in cui se chiedi un congedo parentale in questo
paese vieni visto come anti aziendale. Forse chi ci governa non lo
sa: fare un figlio costa.
Se lavori con contratti precari è
ovvio che non puoi permetterti un figlio. Non puoi perché non hai
l'opportunità economica e non puoi perché, spesso, se aspetti un
figlio l'azienda non ti rinnova il contratto.
I temi trattati sono stati davvero
tantissimi e credo che il libro di Loredana meriti una lettura
approfondita.
Per concludere posso dire che il
desiderio di paternità per una coppia gay è decisamente più
difficile da realizzare. Anche in questo caso occorrono molti soldi.
Non solo. Per me che sono contrario alle madri surrogate (e non per
una questione “morale”, una donna che si presta a essere
portatrice ne ha tutto il diritto sia per le coppie eterosessuali sia
per le coppie omosessuali. Solo che, personalmente, e lo ribadisco è
un mio problema, non riesco a percepire il corpo come una ncubatrice)
il problema è doppio. Vorrei poter adottare ma ogni volta che si
discute di omogenitorialità ci sono reazioni isteriche. Per prima
cosa mi viene detto che ci sono tante coppie eterosessuali che
vorrebbero adottare e non ci riescono quindi perché un figlio
dovrebbero darlo a un omosessuale? Intanto, probabilmente, non
abbiamo la concezione reale di quale sia la situazione delle bambine
e dei bambini senza genitori(e del loro numero purtroppo). Poi,
probabilmente, bisognerebbe rivedere le leggi sull'adozione, magari
capire bene anche il discorso legato a quelli che un tempo venivano
chiamati orfanotrofi (e che oggi sono strutture “altre”). Infine,
per chiudere, bisognerebbe far capire a chi ancora non l'ha capito
che non esistono relazioni di seria A e relazioni di serie B. Anche
se è chiaro, per come vanno le cose, che oggi questa classificazione
esiste eccome.