Prendo spunto da un pezzo scritto da
Matteo B. Bianchi (La passività dell'esordiente) per poter parlare
delle aspettative degli aspiranti scrittori.
Il primo dato, forse il più
importante, è che in Italia sono, in percentuale, molte di più le
persone che scrivono di quelle che leggono. Il che mette in evidenza
un enorme problema perché per scrivere, per scrivere bene, occorre
leggere moltissimo. Riallacciandomi al discorso di Bianchi vorrei
portare la mia esperienza personale. A quindici anni io scrivevo cose
che non interessavano a nessuno. Erano romanzi ambientati all'interno
della mia cerchia di amici, scopiazzature di brutti libri che avevo
letto, testi pieni di errori e scritti malissimo. Se fossero rimasti
esercizi di stile probabilmente mi sarei evitato qualche brutta
figura. Invece avevo l'assurda presunzione che fossero dei bei libri
ma c'era di più. Non so bene per quale motivo mi ero messo in testa
che “scrivere” e, soprattutto, pubblicare, fosse un mio diritto.
Quando le case editrici mandavano una lettera per dire che il libro
non era idoneo alla pubblicazione (altri tempi quando spedivano
ancora le lettere a casa) io, invece di fare autocritica, mi
arrabbiavo moltissimo e pensavo che ci fosse un complotto ordito da
non so bene chi per evitare di farmi accedere al mondo dorato della
scrittura.
Non volevo scrivere, volevo appartenere
a un mondo che immaginavo splendido. Volevo valere qualcosa, andare
in TV, essere quello fico che pubblicava. E se qualcuno cercava di
farmi ragionare io tiravo in ballo qualche scrittore scadente che
invece era riuscito a pubblicare e dicevo: perché lui sì e io no?
Fortunatamente i brutti libri che
scrivevo non hanno mai incontrato il gusto di nessuno e i continui
rifiuti, a un certo punto (ma ci sono voluti anni) mi hanno convinto
che forse ero io che sbagliavo qualcosa. Non c'era nessun crudele
piano contro di me. Semplicemente scrivevo male.
Così ho cominciato a leggere e ho
scoperto autrici e autori che scrivevano davvero. Per anni ho scritto
solo racconti che non facevo leggere a nessuno. Erano rielaborazioni,
pensieri, esercizi. Non so se ho imparato a scrivere ma una cosa è
certa: ho imparato a leggere.
Non esiste un diritto divino alla
pubblicazione. Io non so recitare, non so cantare, non sono bravo
negli sport. Per quale motivo dovrei sentirmi in diritto di fare una
di queste tre cose?
Nessuno pretende, senza essersi
allenato duramente, di essere ammesso alle olimpiadi. Allora perché
dovrei pretendere una pubblicazione se in realtà non so nulla di
letteratura?
So che il mio ragionamento può
sembrare assurdo, visti anche i libri che arrivano in libreria, ma vi
dico una cosa: il fatto che oggi qualsiasi persona possa pubblicare
qualsiasi cosa non è un buon motivo per pensare: “allora lo faccio
anche io”! Un aspirante scrittore non dovrebbe guardare alla brutta
letteratura. Non fraintendetemi, ci sono ottime scrittrici e ottimi
scrittori che non hanno mai avuto successo ma non posso pensare che
solo perché la D'Urso pubblica allora posso farlo anche io!
Un altro aspetto riguarda il “perché”
si scrive. Scrivere fa bene, per me è come andare dallo psicologo,
posso affrontare le mie paure e decido solo in un secondo momento se
rendere pubblico uno scritto o tenerlo per me. Non tutto quello che
si scrive deve per forza essere letto da qualcun altro. C'è una cosa
che vorrei mettere in chiaro: scrivere è sicuramente una gioia ma è
anche un lavoro, un esercizio continuo, non è qualcosa di così
scontato. Inoltre, forse, dovremmo rivedere le nostre aspettative.
Voglio pubblicare perché amo scrivere e ho del talento o voglio
pubblicare (qualsiasi cosa) perché voglio diventare ricco e famoso?
Vedete se la scrittura fosse, per la
società italiana, un esercizio interessante probabilmente, a questo
punto, qualcuno ci avrebbe già costruito intorno un talent show. La
verità è che scrivere è molto più complesso. Non ci si può
improvvisare scrittori, non basta una bella calligrafia da far vedere
in TV per poter esprimere idee e concetti.
Non esiste, ve lo dico con il cuore,
non esiste un mondo dorato in cui scrittrici e scrittori vivono solo
dei propri frutti letterari. Sono davvero pochissime le persone che
riescono a campare di scrittura. Ma sapete in quanti siamo a
scrivere? Pensate che basti pubblicare ed è fatta? No, è solo
l'inizio. Ovvio che fa piacere. Ma se alle spalle non hai una casa
editrice che crede veramente nel tuo lavoro è come non pubblicare.
Se non hai una buona distribuzione, se non hai spazio in libreria, se
non hai recensioni o passaggi televisivi, se non hai la fortuna di
diventare (va tanto di moda adesso) un “evento letterario” del
web...
Insomma non voglio scoraggiare nessuno
ma rivediamo le nostre aspettative. Se voglio scrivere va benissimo.
Se pubblico ancora meglio. E se ho successo, che meraviglia! Ma non
va sempre così. A volte semplicemente va male. L'importante è avere
consapevolezza, lasciare che il proprio ego prenda qualche schiaffo
e, magari, capire che il mercato del libro ormai è al collasso.
A volte basta semplicemente elaborare
le delusioni per trasformarle in qualcosa di positivo.
Coraggioso l'Io Confesso dell'aspirante scrittore che impara l'umiltà: complimenti davvero! Vado leggermente off topic, parlando dei blogger aspiranti famosi. Ovviamente c'è anche chi scrive un blog solo per sfogarsi e chissenefrega della popolarità. Ma ci sono anche quelli che scrivono per farsi notare. Però producono delle vere schifezze, quindi sono destinati all'insuccesso. Alcuni scrivono per passione e si vede: hanno talento da vendere. Poi non si capisce perché non emergano. Forse è troppo difficile farsi notare nel mare magnum dei blog. Ovvio, ci sono le eccezioni, vedi Federico Baccomo e Chiara Cecilia Santamaria, che ce l'hanno fatta ed è ovvio il perchè (=scrivono divinamente).Infine ci sono gli autori dei blog schifezza che però hanno centinaia di followers e questa ancora devo riuscire a spiegarmi come mai.
RispondiEliminaOh, quanti ricordi, le abominevoli boiate che scrivevo da gggiovane. Madonna, che imbarazzo a ripensarci. Fortunatamente ero un tantino più riservata e facevo leggere solo quanto avevo finito. Oppure solo quelle storielle sceme che appunto avevano gli amici come personaggi...
RispondiEliminaPerò non è che avessi tutte 'ste velleità letterarie, all'epoca. Scrivevo, riscrivevo, correggevo, però non avevo l'idea fissa della pubblicazione. Invero immaginavo si trattasse di un collegamento logico più recente, il 'scrivo QUINDI pubblico', con il disfacimento degli standard qualitativi...
Mi correggo: facevo leggere solo quando avevo finito e di rado finivo quello che stavo scrivendo. Fortunatamente.
EliminaCiao! Nel leggere il racconto delle tue prime esperienze di proposte alle case editrici, ho rivisto molto delle mie aspirazioni di qualche anno fa: avevo finito un romanzo ed ero tutta presa dalla convinzione di aver fatto meglio di tanti autori di Schifezze (sì, con la S maiuscola). Lasciamo perdere il fatto che di orrori se ne vedono ancora fin troppi nelle librerie e che, spesso, più che il talento, in sede di pubblicazione, vengono valutati la notorietà già acquisita, un passato torbido o criminale o la relazione con qualche personaggio pubblico...
RispondiEliminaI rifiuti delle case editrici (intesi anche come totale silenzio di fronte al mio invio del manoscritto) mi hanno dapprima stizzita, perché ritenevo che, almeno, dovessero essere motivati in modo tecnico, e non con una frase generica uguale per tutti; poi ho ricevuto una proposta editoriale subordinata all'accettazione di un contratto in cui mi venivano chiesti parecchi soldi, e ho realizzato: il manoscritto non va bene, lo pubblicherebbe solo qualcuno che avesse i miei soldi per farlo.
E allora ho iniziato a rileggere e riscrivere qualcosa come sei volte, perché ogni lettura di buoni libri (non necessariamente affini per genere) mi suggeriva qualcosa di nuovo in termini di tecnica, di narrativa, di scelta delle parole, di costruzione dei personaggi. Oggi quello stesso romanzo è quasi a metà di una ulteriore riscrittura, e posso dirmi finalmente soddisfatta di aver acquisito uno stile narrativo mio, esercitato effettivamente sull'esperienza, sul rifiuto, sull'autocritica e con tanta pazienza. Nemmeno agli inizi davo per scontato che la scrittura fosse un'attività facile, ma non avevo capito come disciplinare e alimentare il mio lavoro: ora sono sulla strada giusta per confezionare un buon romanzo, che non mi illudo di veder pubblicato (anche se, certo, tale prospettiva mi attrae molto), ma che ho costruito non con l'istinto o la foga creativa dei primi anni, ma con un metodo derivante proprio dall'attenzione della lettura.
Quindi sono d'accordo: uno scrittore deve essere prima di tutto un attento lettore, e pietra di paragone nonché sprone all'attività devono essere le pubblicazioni di qualità, e non quelle scadenti. Anche per una sorta di autostima, no?
Credo sia abbastanza normale da adolescente confondere le cose e avere il desiderio di affermarsi.
RispondiEliminaIl problema è quando sono gli adulti a farlo. xD Anche perché non ci vuole un genio a capire che scrivendo non diventa certo ricchi.
Credo l'importante sia divertirsi, leggere e scrivere quello che ci piace. Se poi desideri e arriva la pubblicazione, tanto meglio.
"Il primo dato, forse il più importante, è che in Italia sono, in percentuale, molte di più le persone che scrivono di quelle che leggono"
RispondiEliminaCioè, più del 46% degli italiani? Esiste una statistica che attesti questo dato? Io non l'ho trovata e sinceramente dubito si arrivi così in alto.
"Nessuno pretende, senza essersi allenato duramente, di essere ammesso alle olimpiadi."
Vero, ma sono due mondi diversi. Nessuno va alle olimpiadi perché ha uno sponsor; ma chi ci va, poi lo ottiene. Non ci sono raccomandazioni: è il tuo tempo che conta. Non finisci in classifica solo perché hai un nome conosciuto. E così via. Mi dispiace, ma la tua analogia non regge.
Per il resto, sono abbastanza d'accordo. Aggiungo una cosa: pochissimi sono i lettori degli esordienti, a parte pochi casi fortunati (Giordano?) - questo dovrebbe far riflettere sui possibili introiti da una prima pubblicazione.
Giordano ha venduto perché lo hanno pompato da morire.
EliminaE credo che tu sia molto ottimista sulla percentuale di lettrici e lettori in Italia....
Elimina"In Italia, anche chi legge, legge molto poco: il 45,6% dei lettori non ha letto più di 3 libri in 12 mesi, mentre soltanto i "lettori forti", cioè chi ha letto 12 o più libri nello stesso lasso di tempo, è il 13,8% del totale". (dati istat). Si parla di persone che hanno letto da 1 a 3 libri non di lettori assidui. Sarebbe interessante, a questo punto, chiedere alle case editrici quanti manoscritti ricevono quotidianamente. Il riferimento alle olimpiadi per me calza bene, anche perché io mi riferivo alla "preparazione". Troppe persone pensano che per scrivere non serva leggere.
Elimina46% infatti era un dato ISTAT (credo 2011) e in leggero incremento annuo. Siamo d'accordo che sono pochi, ma tu hai scritto: "in Italia sono, in percentuale, molte di più le persone che scrivono di quelle che leggono". Lo leggo così tante volte che mi sono deciso a chiedere: come è possibile? In percentuale, significa che il numero deve superare il 46%, cosa che dubito fortemente. L'altro dato importante, a mio parere, è quanti libri comprano gli italiani - che poi è ciò che fa andare avanti la baracca. Soprattutto, quanti libri di autori sconosciuti. Se io non ho mai letto nessun esordiente, perché qualcuno dovrebbe leggere il mio libro? Questo è un indicatore significativo, ed è anche per questo che ho deciso - su scala infinitesima - di mettere in piedi una piccola iniziativa letteraria.
EliminaContinuo però a credere che il paragone non sia calzante. Prendi Giordano, un autore "dopato". Se alle olimpiadi risulti dopato, ti squalificano e probabilmente ti tolgono tutti i premi. Giordano può stare sicuro, che il secondo libro va dritto in vetrina (e il terzo, se continua ad avere fortuna). Il secondo libro non l'ho letto, da come ne parli immagino che non sia un capolavoro.
Forse intendeva dire "in proporzione", non "in percentuale".
EliminaE "in proporzione" è proprio così. Inoltre c'è un altro fatto da considerare: quanti di quel 46% i libri li acquista e quanti invece se li fanno prestare da amici o dalla biblioteca (oppure, oggi, li legge in formato ebook piratato)? Quindi no, in Italia NESSUNO si arricchisce con la scrittura, tanto meno gli esordienti (e nemmeno gli emergenti).
Certo che intendeva dire "in proporzione", ma non è ciò che si legge. Anzi, te la rigiro: quale proporzione è giusta? (E qual è la proporzione attuale?)
EliminaNon ne ho idea, ma anche così, a "naso", mi pare che ci siano un po' troppi scrittori in un paese dove si legge poco.
Elimina"Vedete se la scrittura fosse, per la società italiana, un esercizio interessante probabilmente, a questo punto, qualcuno ci avrebbe già costruito intorno un talent show"
RispondiEliminaAmmazza che *capolavoro* :D