In ufficio trovo appeso un simpatico articolo comparso su Il
sole 24 ore. Si tratta di un trafiletto su un’avventura in libreria. Un cliente
entra e chiede le Enneadi (Oggi presenti sul mercato nelle edizioni Biblipolis e Mondadori Meridiani, Bompiani al momento
risulta non disponibile) e il commesso, timidamente, chiede “Mi fa lo spelling?”.
L’autrice o l’autore del pezzo ricorda i tempi in cui erano
i clienti ad entrare intimoriti in libreria e a provare vergogna per la
pronuncia errata degli autori e delle autrici stranieri/e. Conclude con una
considerazione, che trovo veritiera e amarissima: “A quanto pare una politica
accurata di selezione del capitale umano ha determinato in pochi anni una
rivoluzionaria inversione dei ruoli”.
Qualcuno, nelle alte sfere (e parlo di librerie di catena
ovviamente) a un certo punto ha deciso che “il capitale umano” non era più
necessario. È passata l’idea, non solo in libreria, che dare adeguata
formazione alle dipendenti e ai dipendenti sia un inutile spreco di tempo e
risorse, che basta mettere tutto in ordine di autore/autrice e il/la cliente si
serve da solo/a. Si è smesso di guardare alla professionalità,
la professionalità è un costo non ammortizzabile, per la letteratura che entra
oggi in libreria, avranno pensato, non occorre conoscere i classici, essere
preparati, curiosi, magari aver fatto studi inerenti alla professione. Troppo
spesso il libraio è un costo. Punto. Così come lo è l’operaio specializzato o
chiunque abbia acquisito, nel corso del tempo, una professionalità. Forse hanno
pensato che è un lavoro che chiunque può fare. Con poco rispetto, aggiungerei,
anche per le clienti e i clienti che si aspettano di avere a che fare con
personale preparato che conosca, almeno, i grandi testi della letteratura,
della filosofia, della psicologia.
Qualcuno, poi, sta dicendo che “si stanno reinventando le
librerie” . Per reinventare qualcosa occorre coraggio, occorre formazione,
occorre conoscenza, occorre intelligenza, occorre rispetto. Altrimenti non è reinventare. È distruggere.
Non basta inserire una caffetteria, un ristorante, mettere i giochi o le
tecnologie all’interno della libreria. Non si reinventa così. Questo è “trasformare”.
Trasformare un luogo in cui la cultura, per anni, è stata al centro di un
progetto in qualcosa che con la cultura ha poco a che fare. Un supermercato in
cui si possa entrare e chiedere, senza esitazione, se vendiamo cuscini,
coperte, borse per computer. E la maggior parte delle catene librarie, accanto
alla pasta, alla frutta, al primo o al contorno, tiene anche le coperte e i
cuscini.
Non ci stupiamo, quindi, se il commesso chiede di fare lo spelling del titolo che dovrebbe
conoscere. È solo l’ennesimo risultato di un mercato che fagocita ogni cosa,
mastica rumorosamente e poi sputa senza apprezzare il sapore.
È questo che sono diventate le librerie (di catena). Non un
luogo sacro in cui si entra per dimenticare il mondo di fuori ma un ennesimo
luogo di consumo in cui il mondo di fuori non smette di guardare le lancette
dell’orologio. Un luogo, tutto sommato, adatto all’uomo contemporaneo,
iperconnesso, iperattivo, abituato a letture veloci, inconsistenti, take away,
che non apprezza più il sapore della letteratura e che sempre più raramente
riesce a fare le dovute “distinzioni”. Librerie che hanno poco a che fare con
le librerie per letterature che poco hanno a che fare con la letteratura.
Io lavoro in una libreria di catena,e posso dire che va proprio così.A parte che io nasco commessa di un negozio di dischi e mi ci sono trovata a fare la libraia(eravamo un Ricordimediastore che è mutato in una libreria Feltrinelli),detto questo io l'esperienza me la sono fatta sul campo,ma solo adesso dopo 6 anni,mi rendo conto di avere una discreta conoscenza dell'argomento.I primi anni sono stati tragici,gente che mi chiedeva cose pure non astrusissime,e io che cadevo dal pero.Purtroppo è come dici tu,l'importante è assumere gente giovane da pagare meno possibile,la preparazione è gradita ma non indispendabile.
RispondiEliminaChe combinazione! No, io non ci lavoravo, ma vicino a dove abito c'era una storica Ricordi - oggi Feltrinelli. Di fatto c'è stato (qualche anno fa, in effetti) un enorme ridimensionamento dell'area musicale. I libri, che pure già c'erano, sono disposti in maniera meno caotica, ma è scomparso il mio "antro" preferito, declassato a mero scaffale (sigh!).
EliminaScusa per il momento nostalgico. :D
Io ho fatto colazione, settimana scorsa, alla Feltrinelli Red - giusto per fare un nome, ma penso vada bene anche per altri luoghi simili. E' più che altro un bar con una parete piena di libri, principalmente narrativa mainstream, fumetto e qualcosa di arte e cucina (ovviamente). Il business è il cibo, in questo caso. Inutile fare confronti. Poi, per carità, io i miei due libri li ho comprati. Ma è un'altra cosa, non ho notato questa sinergia tra cibo e libri - cosa che, magari, può essere migliorata. All'estero, ma credo esistano anche in Italia, ci sono dei veri e propri book café. Sono in effetti locali accoglienti, dove lettura e caffetteria sono bene integrati l'una con l'altra, grazie anche alla peculiare atmosfera che si veniva a creare - questo per dire che non condanno l'iniziativa, anzi. La capisco forse più della presenza dei LEGO e dei giochi in scatola.
RispondiEliminaE' anche vero che rispetto a trent'anni fa escono infinitamente più libri, per cui il povero commesso fa anche fatica a tenere a mente tutto (perchè oltre a conoscere i classici, ti serve anche conoscere la roba mainstream)
RispondiEliminaE' brutto generalizzare ma io nelle librerie di catena non compro più. Le frequento come luogo passa-tempo soprattutto post-aperitivo perchè ce n'è una a MI vicino a locali dove vado abitualmente ed è una sorta di classico, aperitivo libri. Insomma l'unione col cibo citata sopra me la faccio da me. Compro solo in 2 librerie non di catena, dove ad esempio sabato il consiglio competente del libraio gli ha fatto vendere un libro assolutamente non in previsione d'acquisto da parte mia. Bravo lui, contenta io.
RispondiEliminaA dire il vero tutte le catene di qualsiasi genere (computer, idraulica, mobili, abbigliamento, auto) hanno spesso commessi che non hanno la minima idea di cosa stanno vendendo. A volte manca la formazione. Altre volte no, è proprio il commesso che non ci arriva.
RispondiEliminaInvestire nel capitale umano non va più di moda da almeno un decennio. Il fai da "me" è spesso una scelta obbligata.
Alla Feltrinelli di Roma, in piazza Colonna, c'è un commesso che conosce tutti i titoli e gli autori (anche i più impensabili) e riesce a recuperarti il libro senza nemmeno consultare il pc per vedere la posizione del testo. Sbalorditivo. Ma credo che sia un caso più unico che raro...
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaQuesto mi fa venire in mente il caso di due miei amici, fidanzati: entrambi vanno a fare domanda per un lavoro alla nuova libreria di catena che stava per aprire, tra l'altro con uno stipendio da fame perché inizialmente era un contratto di quelli da apprendista; lei laureata in lettere, lui diplomato a ragioneria. Hanno preso lui, per poi mandarlo a casa sei mesi dopo con la motivazione "che non era abbastanza qualificato".
RispondiEliminaCerto! Se avessero preso lei, poi non avevano la scusa per mandarla via...
EliminaE perché no? Sarebbe stata "troppo qualificata"!
EliminaChe ipocrisia, quel giornale là. Come se lui e i suoi finanziatori non fossero i primi sostenitori dell'abbattere i costi del personale e quindi la sua preparazione, e come se non fossero tutti in prima fila da decenni nel chiedere un sistema scolastico semplificato e banalizzato, escluse poche eccellenza da riservare ai ricchi che possono permettersele.
RispondiEliminaSepolcri imbiancati e infangati.
libreria di catena cerca commessi: porto il cv (ho una formazione linguistica, presso una delle più prestigiose scuole interpreti e traduttori) e... non mi hanno mai chiamata. Nemmeno per un colloquio.
RispondiEliminad'accordissimo, certo che quando leggo "un'inutile spreco", così, con l'apostrofo, mi cascano le braccia...
RispondiEliminaChiedo venia spesso scrivo di notte. Se trovo le tue braccia le raccolgo?
EliminaTi ho citato in un post, questo tuo articolo mi vede veramente concorde.
RispondiEliminaCondivido ogni parola. Ho lavorato in una libreria indipendente per 5 anni (prima della sua definitiva chiusura purtroppo). E' vero ciò che dici sulla formazione e sull'apprendimento, ma è anche vero che la categoria dei commessi contrattualmente è (possiamo dirlo) bistrattata. E questo contribuisce all'idea che "vendere libri o patate è la stessa cosa".
RispondiElimina