Quando ero un ragazzino ero certo che
sarei morto a 25 anni, quindi sono piuttosto in ritardo sulla tabella
di marcia. La sensazione di essere in “ritardo”, del resto, non
mi ha mai abbandonato. In ritardo sulle mie scelte, sul mio modo di
essere, sulla mia consapevolezza. Perdonate la nota triste di oggi,
compio 38 anni e, nonostante io cerchi di essere sempre ironico, mi
risulta difficile farlo nel giorno del mio compleanno. È un difetto
che ho preso da mia madre, quello di essere triste in questo giorno, probabilmente l'ho ereditato insieme al caratteraccio e
all'intestino irritabile. Lei, mia madre, non lo ammetterebbe mai che
invecchiare la rende triste, ma io so che è così, abbiamo gli
stessi occhi e lo stesso naso, probabilmente ci assomigliamo più di
quel che entrambi siamo disposti ad ammettere.
Il giorno del compleanno, per quel che
mi riguarda almeno, è un giorno importante, è il giorno in cui sei
nato, un fatto unico e irripetibile. Siamo talmente presi dagli
impegni e dalla quotidianità che dimentichiamo, spesso, l'importanza
del celebrare questo giorno. Per quel che mi riguarda non ho bisogno
di fare grandi cose, è una giornata che dedico a me stesso e ai miei
affetti, nulla di più. Spesso, durante il giorno, scelgo di avere
qualche ora di solitudine per fare i conti con me stesso e con il mio
passato. Inevitabile, direi, tirare un po' di somme di quel che si è
ottenuto.
A dire il vero quel che mi preme di più
è capire “come” sono arrivato a 38 anni. La mia parte
“giovanile” me la sono bruciata lavorando, autocommiserandomi,
nascondendomi, avendo paura. Si può dire che abbia veramente
cominciato a vivere a 28 anni, periodo di profondi cambiamenti per me
ma anche di accettazione. Le cose hanno cominciato ad andare meglio,
ho avuto nuove opportunità lavorative, sociali, sentimentali, sono
uscito dal bozzolo e ho spiccato il volo riuscendo, tuttavia, a non
perdere di vista le persone che amo e che mi accompagnano da
moltissimo tempo. Eppure se c'è una cosa che mi manca della
giovinezza è il credere in qualcosa, l'opportunità di abbandonarsi
alle illusioni e ai sogni. Sei in quel periodo in cui la vita, per
quanto sotto alcuni aspetti già crudele, non è ancora riuscita a
farti sentire il proprio peso.
Oggi quel peso lo sento tutto, colpa
anche del mio carattere, sicuramente, non sono un ottimista a priori,
non mi piace piangermi addosso ma abbandonarsi alla riflessione
implica anche, inevitabilmente, vedere le cose da diverse
prospettive. Almeno per me significa questo.
La verità è che nella mia vita non
c'è nulla che non vada, anzi, dovrei essere una persona serena e
tranquilla. Invece non lo sono. E non lo sono, ovviamente, per colpa
mia. Quindi in me vivono due anime, quella che sostiene che sono un
ingrato, che ho realizzato tutti i punti principali della mia
esistenza, che dovrei essere felice di quello che ho e un'altra
anima, bastarda, che sostiene che avrei potuto ottenere quello che ho
sbattendomi un quarto di quello che ho fatto, questa parte mi dice
che ho buttato via tempo.
E, del resto, chi di noi non lo fa?
Da un po' di tempo a questa parte mi
chiedo quanto vale il nostro tempo? Cinque euro? Sei? Dieci? Passiamo
la nostra vita a produrre, vendere, acquistare. Abbiamo messo il
lavoro al centro della nostra esistenza, cresciamo in una società
che ci dice che se non siamo produttivi siamo inutili, ci sentiamo
tanto inutili da arrivare a considerare la nostra vita superflua se
ci sentiamo tagliati fuori dal sistema. Passi il tuo tempo a
prepararti per essere produttivo, a studiare, a cercare di far parte
del sistema, a cercare lavoro e, quando lo trovi, se lo trovi, a
produrre. Usi il risultati del tuo lavoro per acquistare oggetti, per
essere alla moda, per comprare tempo libero. Non siamo liberi, non
siamo padroni del nostro tempo. È un sistema così macchinosamente
complesso e degenerato che uscirne è quasi impossibile, puoi avere
l'illusione di non far parte del sistema ma, in realtà,
l'appartenenza sociale non ti abbandona mai. Vivi, semplicemente,
nella parte di società che la tua produttività ti consente di
avere: ricco, mediamente ricco, mediamente povero, povero,
disadattato. Passiamo il nostro tempo a farci la guerra, a
discriminarci, a imporre ragioni irragionevoli. E lo so che può
sembrare tutta una farneticazione ma è questo continuo pensare che
mi rende una persona infelice.
L'unico modo che ho per sopravvivere è
l'ironia. È sempre stato così. Avere la consapevolezza, costante,
di essere in trappola è un po' come avere la consapevolezza costante
che prima o poi morirai.
È angosciante.
Tornando al mio piccolo mondo mi rendo
conto dell'insopportabile atteggiamento che ho nei confronti della
vita. Ho lavorato (tanto), ho studiato (tanto) ho ottenuto i
risultati che mi ero preposto, eppure non sono felice.
Non è facile trovare persone da amare,
per esempio, un campo in cui mi sono sempre ritenuto fortunato è
quello dell'amicizia. Eppure, anche per l'amore, ho dovuto lavorare
su me stesso.
Ho sempre avuto una visione molto
romantica del rapporto amoroso, poi quando ti scontri con la realtà
ti rendi conto che il romanticismo, come tutto, è solo una fase.
Prima o poi subentra la quotidianità, ti devi confrontare con
l'altra persona, con i suoi difetti (e lui/lei con i tuoi), arrivano
(spesso) i tradimenti e ancora hai (ho) la sensazione di trovarti in
trappola e devi fare i conti con la paura, con la solitudine, con la
sensazione di aver subito un torto più profondo del semplice
tradimento fisico.
Abbandonare l'idea di romanticismo non
è stato facile per me, ho dovuto strapparmela di dosso. Gli uomini
non sono esseri perfetti, il tradimento fa parte della vita, non è
una giustificazione, è che a un certo punto metti sul tavolo le cose
belle e le cose brutte e se le cose belle sono più di quelle brutte
allora, forse, vale la pena cercare di accettare il fatto che siamo
esseri terribilmente imperfetti.
Senza girarci attorno, però, devo dire
che la parte che mi fa più male è quella legata alla letteratura.
Oggi mi rendo conto che ho investito troppo su un sogno, che mi sono,
in qualche modo, limitato a sopravvivere in nome della scrittura.
Puntare tutto sui sogni ha due aspetti negativi. Il primo è che,
ovviamente, non c'è nessuna certezza che il sogno si realizzerà. Il
secondo aspetto negativo è che, quando ti rendi conto di aver
puntato troppo su un cavallo perdente, rimangono le amarezze, le
delusioni e corri il rischio di diventare una persona arida.
Cosa che io non voglio fare perché mi
rendo conto che la vita è troppo breve per continuare a credere che
il mio sogno valga così tanto.
Si tratta, fra le altre cose, di un
sogno che ho realizzato.
Non posso smettere di scrivere e non
voglio farlo solo per me stesso. È questa la grande fregatura. Il
problema è che oggi devo confrontarmi con un mercato in caduta
libera. Proponi un libro e ti dicono che è troppo triste per i
lettori, che ci vuole qualcosa di allegro, che devi essere
spendibile, telegenico, che devi assecondare il mercato. Ti
propongono finali alternativi, storie commerciali, prendono il tuo
lavoro e lo trasformano. Ti trasformano. Se dici di no, in qualche
modo, sei fuori. Se ti va bene ti propongono di fare il ghostwriter.
Poi, certo, ci sono anche molti casi fortunati ma, facendo parte io
dell'infinita schiera dei “mai nati” (letterariamente parlando)
non li prendo in considerazione.
Ho pubblicato il primo libro e non sono
stato felice. Poi è arrivato il secondo e non mi ha reso felice.
Ogni volta che guardo il mio percorso professionale mi dico che ho
fatto tante cose. Ma non è mai abbastanza.
Ho già parlato di mio zio Leo. Aveva
un talento incredibile, il suo campo era quello delle arti visive:
quadri, istallazioni, sculture. Persona colta e amante della cultura
a 360°: cinema, teatro, musica, letteratura e molto altro. Era una
persona inquieta. Intellettualmente inquieta e questa inquietudine lo
aveva reso schiavo tanto che per sfuggirne era caduto in dipendenze
ben più gravi. Dipendenze che lo hanno portato alla morte.
Zio Leo per me è stato un esempio,
allo stesso modo, da seguire e da evitare. Anche io provo quella
costante inquietudine che cerco di esprimere attraverso la
letteratura. Fortunatamente il mio corpo non ha mai sopportato gli
eccessi, mi sono, probabilmente, salvato dalle dipendenze proprio
grazie alla mia scarsa resistenza al dolore.
La verità è che ho davvero paura di
aver investito troppo sul mio sogno. E forse non sono all'altezza
delle mie aspettative, o forse non ho abbastanza fortuna, o forse
tendo a demoralizzarmi troppo. Non importa. L'importante è che mi
sono reso conto che non ne vale la pensa quindi o trovo un modo
“diverso” di vivere la scrittura o lascio perdere e , anche se
questa cosa mi rende terribilmente infelice, penso che alla fine ne
varrà la pena.
Quando passi tutta la vita a lottare
per qualcosa ottenendo sempre poco è giusto mettersi in discussione.
E voglio rivedere anche il mio concetto di “lotta” perché, come
sapete, è tutta la vita che lotto anche per altri motivi, primo fra
tutti il mio diritto ad esistere, ad amare, ad avere dei diritti.
Quindi, amiche e amici, virtuali o
reali, perdonate questo lungo post pieno di autocommiserazione. Del
resto lo avevo anticipato che compiere gli anni non mi fa bene.
Marino