domenica 29 novembre 2015

La prima volta

Difficile raccontare la giornata di venerdì scorso. Non sapevo cosa aspettarmi, non avevo neppure un piano preciso di cosa avrei detto e di come mi avrebbero accolto. La mia prima presentazione all'interno di una scuola, andare a raccontare il bullismo a Frosinone, prima a parlare con i ragazzi e poi a un convegno con i professori.
Senza conoscere la realtà sociale del luogo e quella scolastica.
All'arrivo ho trovato dei ragazzi inizialmente distratti, annoiati, disinteressati. Una quinta e diverse prime. Età molto diverse fra loro, qualcuno aveva letto il libro, in alcune classi era stata fatta una lettura collettiva con rispettivi lavori. Sicuramente la lettura del romanzo e il lavorare sui diversi soggetti che lo compongono ha spinto i ragazzi a mettersi in gioco, a riflettere sul bullismo. Eppure, da estraneo, mi sono apparsi come lavori meccanici, troppo didattici. Io ero alla ricerca di un dialogo con quei ragazzi. La prima cosa che ho notato è stata quella mancanza di comunicazione che ho messo in evidenza nel romanzo. Il relatore prima di me, un uomo adulto, formato, un professionista quindi, stava illustrando a un pubblico disinteressato i rischi del cyberbullismo. Non c'era uno scambio di idee e di riflessioni, c'era un nuovo professore che in modo piuttosto tecnico illustrava a dei ragazzi delle nozioni che, probabilmente, non hanno appreso.
Quando ho iniziato a parlare ho cercato di fare la cosa che mi riesce meglio in queste situazioni, essere me stesso, mettermi a nudo, farmi riconoscere, prima che come adulto, come persona. Eppure questa cosa che mi riesce molto bene con gli adulti mi è riuscita a metà con i ragazzi. Ho dovuto prendere atto della diversità generazionale, spietata e immediata. Non volevo essere l'ennesimo adulto che impartiva una lezioncina, eppure il dialogo ha tardato ad arrivare, non è stato fluido. In particolare con i ragazzi più grandi non è scattata l'empatia. Tante costellazioni perse nella propria quotidianità, l'agente estraneo (io) non ha portato un momento di riflessione. Eppure anche fra i ragazzi più grandi, a un certo punto, sono arrivati momenti di confronto. Una domanda particolarmente intelligente sul perché di una descrizione così fallimentare da parte di adulti e sistema scolastico, un ragazzo seduto lontano dagli altri che mi scrutava con occhi intelligenti e curiosi, un altro momento in cui accanto a me si è seduto un ragazzo che mi ha ricordato tanto Spillo, il mio personaggio preferito, del quale ho percepito una forte fragilità. Poche parole e la sua felicità nel vedersi al centro dell'attenzione in un contesto che probabilmente vive come avverso. Quando le quinte sono tornate in classe i ragazzi di prima si sono lasciati un po' andare, c'è stata un'interazione maggiore. E alla fine, quando un ragazzo si è avvicinato per stringermi la mano, ho capito quanto queste cose siano importanti. Magari non arrivi a tutti, forse riuscirai a dialogare solo con due o tre ragazzi. Ma ogni goccia è fondamentale.
La cosa che mi ha colpito è il senso di solitudine che ho trovato sia nell'incontro mattutino sia in quello pomeridiano con i professori. Persone volenterose alla ricerca di mezzi per dialogare con i ragazzi, ma anche adulti stanchi e forse disillusi, che vivono sulle proprie spalle un sistema scolastico che arranca, al quale non viene data la giusta importanza e valorizzazione se non a parole. Ho pensato che noi, davvero, questi ragazzi non li conosciamo, che troppo spesso vediamo la scuola come un luogo dove far passare loro del tempo mentre noi facciamo altro.
E alla fine della giornata mi sono sentito svuotato e ho pensato a quanta strada abbiamo ancora da fare, a quanti fallimenti, anche senza saperlo, noi adulti abbiamo sulle spalle. A quanto ci siamo fatti sottrarre e a quanto non siamo riusciti a dare a questi ragazzi.

mercoledì 18 novembre 2015

Mamme sincere

Bimba simpatica alla mamma:
"Mamma da grande voglio fare il lavoro del signore".
Rivolta a me.
La mamma:
"Eh tesoro ma quando sarai grande forse il lavoro di questo signore non esisterà più..."

Ammazza perchè non le dici pure che Babbo Natale non esiste?
Mo tocco ferro... non si sa mai...

martedì 10 novembre 2015

L'uomo che sono, il ragazzo che ero.

Sono giorni che penso se scrivere o meno questo pezzo. Tutto nasce dalla creazione, su Facebook, di uno dei tanti gruppi il cui intento è quello di “ricompattare” una fascia generazionale. Succede di continuo, persone che non si vedono da vent’anni che, grazie a uno strumento per certi versi prezioso, vanno a caccia di ricordi e del proprio passato. Degli anni d’oro in cui si era giovani, spensierati, battaglieri. Solo che questo gruppo riguarda il mio passato, i miei anni, la mia adolescenza. E lo so che ultimamente non faccio altro che parlare dei sedici anni e che alla soglia dei quaranta dovrei guardare avanti ma forse è ciò che serve per chiudere un ciclo e siccome le cose non accadono mai per caso ecco che mi ritrovo iscritto a questo gruppo. Immediatamente sento crescere in me un forte disagio. Ci sono volti che ho visto per anni ogni giorno, poi ci siamo persi di vista, e ora non so se voglio ritrovarli. In modo molto sincero. Mi tolgo dal gruppo ma per un curioso caso del destino continuano ad arrivarmi le notifiche e allora io che non credo in nulla mi dico che forse un motivo ci sarà. E leggo, ovviamente, leggo i post carichi di ricordi, sensazioni positive, nostalgia. E guardo le foto, foto che sembrano di un secolo fa ormai, che ritraggono ragazzi e ragazze che nel frattempo sono diventati uomini e donne, che hanno avuto esperienze, gioie , delusioni. Che sono, probabilmente come è accaduto a me, molto cambiati. Che non sono più quelli che ho conosciuto io, che sono altre persone. Eppure li guardo e sento che il disagio cresce, sento una morsa allo stomaco e mi vengono mille pensieri e ricomincio a guardarmi dentro.
Parto da questo gruppo, parto da loro e da me, parto da noi che ormai siamo altro per poter affrontare una narrazione personale che parla di cose che vorrei dimenticare.
La prima cosa che, per onestà intellettuale, devo dire è che non sono stata una brava persona per molto tempo. Ho ferito, mentito, fatto del male. E l’ho fatto per difendermi, non è una scusa, ma l’ho fatto per allontanare da me persone che amavo, che amavo troppo, e che mi facevano scoppiare il cuore ad ogni respiro. Ammetto di aver provato gelosia (stiamo parlando dell’età 15-18), una gelosia così forte da annullarmi. Per il lungo periodo dell’adolescenza non sono stato solo vittima, ho subito, e dopo ne parlerò, atti violenti e terribili ma per difendermi dal mondo esterno sono diventato, per troppi anni, una persona che non avrei mai voluto essere. Quindi devo chiedere scusa: scusa per le parole cattive, scusa per le bugie, scusa per i silenzi. Vorrei che alcune delle persone a cui ho fatto del male conoscessero la verità sui miei gesti, vorrei che potessero vedere quello che avevo dentro. Tutto qua.
La seconda cosa che ho notato è la diversità fra la mia percezione di quegli anni e quella della maggior parte delle ragazze e dei ragazzi che erano a scuola con me. Mentre per loro sono anni da ricordare con affetto per me sono anni terribili il cui ricordo mi lacera il cuore ancora oggi. E mentre molte delle persone che poi sono cresciute e si sono sposate, hanno avuto figli, sono emigrate, sono tornate single o lo sono sempre state parlano di quegli anni come di momenti magici io riesco solo a ricordare un buio terribile e una gran solitudine. E l’unica risposta che riesco a darmi è che l’essere gay, in quegli anni, in quei posti, in quella scuola, ha contribuito al mio isolamento. E non perché ci fosse qualcosa di sbagliato in me, sia chiaro. È per dire che chi sostiene che il bullismo omofobo e l’omofobia non esistono ha davvero una gran faccia tosta.
Il mio isolamento è cominciato alle medie. Uscivo per il paese e mi offendevano, andavo a scuola e mi davano della checca e del frocio, uscivo con un amico (etero e nei confronti del quale non ho mai provato attrazione) e tutti dicevano che ci andavo a letto (avevo 14 anni, ho cominciato ad avere una sessualità attiva a 21 anni). Questo ha portato a una chiusura, ho chiuso fuori il mondo, ho chiuso fuori la mia vita. Mi sono impedito di vivere per anni. Se mia madre mi chiedeva di andare in piazza a comprare qualcosa io mi sentivo male, uscivo, cercavo le vie deserte, se in lontananza vedevo dei coetanei tornavo indietro, cambiavo strada, correvo per non farmi vedere. Ero terrorizzato dagli altri.
E mentre affiorano ricordi “belli” per gli altri per me ci sono solo ricordi di estrema sofferenza: i cinque ragazzi che mi inseguono con la macchina urlandomi parole orribili e frasi volgari mentre qualche adulto ride, la paura che qualcuno poi lo riferisse ai miei genitori, il tempo passato a casa in attesa di una chiamata che non è mai arrivata. Quella volta che sono andato a scuola, l'ultimo  giorno prima delle vacanze estive, per aiutare un amico nell’interrogazione e mi sono ritrovato cinque ore, da solo, in classe perché lui era con gli amici etero. O quando salivo sulla corriera e mi spintonavano dandomi del frocio, o quando scendevo dalla corriera e qualche ragazzo della scuola vicino mi dava del frocio. E sì, ogni giorno qualcuno mi dava del frocio. O la ragazza di quinta che quando mi vedeva cominciava a fare la vocetta e diceva “checca”, o il professore di inglese che andava in giro a dire che a San Valentino mi avrebbe regalato un mazzo di finocchi. O le volte che mi sono stretto una cintura al collo e non ho mai avuto il coraggio di stringere sino alla fine.
E di quegli anni io ricordo solo Debora e Elena. Solo quando penso a loro il ricordo si illumina. Per il resto immagino la graziosa “Tristezza” di Inside out toccare ogni ricordo per trasformarlo in qualcosa di brutto.
E mentre scrivo mi rendo conto che dall’adolescenza in poi è stato tutto un percorso di liberazione. Ho cominciato a stare bene con me stesso e con il mondo, ho smesso di essere una persona rancorosa e invidiosa, ho smesso di pensare alla morte solo quando mi sono accettato. Solo quando ho capito che potevo essere me stesso, che solo così, aprendomi al mondo, il dolore se ne sarebbe andato. Portando con me solo l’aspetto buono della mia adolescenza, le amiche del cuore, i rari momenti di allegria e lasciando indietro tutto il resto.
Eppure non riesco a sottrarmi, oggi, a questi pensieri. Non riesco davanti all’idea che avrei potuto essere un ragazzo felice se intorno a me ci fosse stata una società aperta e non omofoba e ignorante, a non pensare che quegli anni sarebbero stati molto diversi. Oggi però ho l’opportunità di raccontarli quei Sedici anni e spero di contribuire, nel mio piccolo, a rendere migliori quelli di qualche ragazza/o.


lunedì 9 novembre 2015

Troppa fatica

Al telefono:
"Libreria..., buongiorno sono Marino."
"Ciao sto cercando un libro scolastico."
"Ok, hai per caso il codice del libro?"
"Codice?"
"Sì il codice ISBN, così siamo sicuri di non sbagliare."
"Ah sì... ti dico le ultime tre cifre ok?"
"No mi serve tutto il codice."
Lui, con voce esasperata:
"Tutto? ma è troppo lungo!"
Tesoro lo so... scusa... è davvero uno sforzo enorme!

mercoledì 4 novembre 2015

Per fare il punto

Voglio ringraziare tutte le persone che mi stanno supportando in questa meravigliosa avventura. Se vi siete persi la puntata di Pinocchio a Radio Deejay con Diego e La Pina la trovate QUI .
L'articolo apparso su L'unità a firma Delia Vaccarello lo trovate QUI
E poi qualche foto dalla radio e dalla bellissima presentazione a Ferrara.
Perché è bello rivivere i bei momenti.