Difficile raccontare la giornata di
venerdì scorso. Non sapevo cosa aspettarmi, non avevo neppure un
piano preciso di cosa avrei detto e di come mi avrebbero accolto. La
mia prima presentazione all'interno di una scuola, andare a
raccontare il bullismo a Frosinone, prima a parlare con i ragazzi e
poi a un convegno con i professori.
Senza conoscere la realtà sociale del
luogo e quella scolastica.
All'arrivo ho trovato dei ragazzi
inizialmente distratti, annoiati, disinteressati. Una quinta e
diverse prime. Età molto diverse fra loro, qualcuno aveva letto il
libro, in alcune classi era stata fatta una lettura collettiva con
rispettivi lavori. Sicuramente la lettura del romanzo e il lavorare
sui diversi soggetti che lo compongono ha spinto i ragazzi a mettersi
in gioco, a riflettere sul bullismo. Eppure, da estraneo, mi sono
apparsi come lavori meccanici, troppo didattici. Io ero alla ricerca
di un dialogo con quei ragazzi. La prima cosa che ho notato è stata
quella mancanza di comunicazione che ho messo in evidenza nel
romanzo. Il relatore prima di me, un uomo adulto, formato, un
professionista quindi, stava illustrando a un pubblico disinteressato
i rischi del cyberbullismo. Non c'era uno scambio di idee e di
riflessioni, c'era un nuovo professore che in modo piuttosto tecnico
illustrava a dei ragazzi delle nozioni che, probabilmente, non hanno
appreso.
Quando ho iniziato a parlare ho cercato
di fare la cosa che mi riesce meglio in queste situazioni, essere me
stesso, mettermi a nudo, farmi riconoscere, prima che come adulto,
come persona. Eppure questa cosa che mi riesce molto bene con gli
adulti mi è riuscita a metà con i ragazzi. Ho dovuto prendere atto
della diversità generazionale, spietata e immediata. Non volevo
essere l'ennesimo adulto che impartiva una lezioncina, eppure il
dialogo ha tardato ad arrivare, non è stato fluido. In particolare
con i ragazzi più grandi non è scattata l'empatia. Tante
costellazioni perse nella propria quotidianità, l'agente estraneo
(io) non ha portato un momento di riflessione. Eppure anche fra i
ragazzi più grandi, a un certo punto, sono arrivati momenti di
confronto. Una domanda particolarmente intelligente sul perché di
una descrizione così fallimentare da parte di adulti e sistema
scolastico, un ragazzo seduto lontano dagli altri che mi scrutava con
occhi intelligenti e curiosi, un altro momento in cui accanto a me si
è seduto un ragazzo che mi ha ricordato tanto Spillo, il mio
personaggio preferito, del quale ho percepito una forte fragilità.
Poche parole e la sua felicità nel vedersi al centro dell'attenzione
in un contesto che probabilmente vive come avverso. Quando le quinte
sono tornate in classe i ragazzi di prima si sono lasciati un po'
andare, c'è stata un'interazione maggiore. E alla fine, quando un
ragazzo si è avvicinato per stringermi la mano, ho capito quanto
queste cose siano importanti. Magari non arrivi a tutti, forse
riuscirai a dialogare solo con due o tre ragazzi. Ma ogni goccia è
fondamentale.
La cosa che mi ha colpito è il senso
di solitudine che ho trovato sia nell'incontro mattutino sia in
quello pomeridiano con i professori. Persone volenterose alla ricerca
di mezzi per dialogare con i ragazzi, ma anche adulti stanchi e forse
disillusi, che vivono sulle proprie spalle un sistema scolastico che
arranca, al quale non viene data la giusta importanza e
valorizzazione se non a parole. Ho pensato che noi, davvero, questi
ragazzi non li conosciamo, che troppo spesso vediamo la scuola come
un luogo dove far passare loro del tempo mentre noi facciamo altro.
E alla fine della giornata mi sono
sentito svuotato e ho pensato a quanta strada abbiamo ancora da fare,
a quanti fallimenti, anche senza saperlo, noi adulti abbiamo sulle
spalle. A quanto ci siamo fatti sottrarre e a quanto non siamo
riusciti a dare a questi ragazzi.