martedì 10 novembre 2015

L'uomo che sono, il ragazzo che ero.

Sono giorni che penso se scrivere o meno questo pezzo. Tutto nasce dalla creazione, su Facebook, di uno dei tanti gruppi il cui intento è quello di “ricompattare” una fascia generazionale. Succede di continuo, persone che non si vedono da vent’anni che, grazie a uno strumento per certi versi prezioso, vanno a caccia di ricordi e del proprio passato. Degli anni d’oro in cui si era giovani, spensierati, battaglieri. Solo che questo gruppo riguarda il mio passato, i miei anni, la mia adolescenza. E lo so che ultimamente non faccio altro che parlare dei sedici anni e che alla soglia dei quaranta dovrei guardare avanti ma forse è ciò che serve per chiudere un ciclo e siccome le cose non accadono mai per caso ecco che mi ritrovo iscritto a questo gruppo. Immediatamente sento crescere in me un forte disagio. Ci sono volti che ho visto per anni ogni giorno, poi ci siamo persi di vista, e ora non so se voglio ritrovarli. In modo molto sincero. Mi tolgo dal gruppo ma per un curioso caso del destino continuano ad arrivarmi le notifiche e allora io che non credo in nulla mi dico che forse un motivo ci sarà. E leggo, ovviamente, leggo i post carichi di ricordi, sensazioni positive, nostalgia. E guardo le foto, foto che sembrano di un secolo fa ormai, che ritraggono ragazzi e ragazze che nel frattempo sono diventati uomini e donne, che hanno avuto esperienze, gioie , delusioni. Che sono, probabilmente come è accaduto a me, molto cambiati. Che non sono più quelli che ho conosciuto io, che sono altre persone. Eppure li guardo e sento che il disagio cresce, sento una morsa allo stomaco e mi vengono mille pensieri e ricomincio a guardarmi dentro.
Parto da questo gruppo, parto da loro e da me, parto da noi che ormai siamo altro per poter affrontare una narrazione personale che parla di cose che vorrei dimenticare.
La prima cosa che, per onestà intellettuale, devo dire è che non sono stata una brava persona per molto tempo. Ho ferito, mentito, fatto del male. E l’ho fatto per difendermi, non è una scusa, ma l’ho fatto per allontanare da me persone che amavo, che amavo troppo, e che mi facevano scoppiare il cuore ad ogni respiro. Ammetto di aver provato gelosia (stiamo parlando dell’età 15-18), una gelosia così forte da annullarmi. Per il lungo periodo dell’adolescenza non sono stato solo vittima, ho subito, e dopo ne parlerò, atti violenti e terribili ma per difendermi dal mondo esterno sono diventato, per troppi anni, una persona che non avrei mai voluto essere. Quindi devo chiedere scusa: scusa per le parole cattive, scusa per le bugie, scusa per i silenzi. Vorrei che alcune delle persone a cui ho fatto del male conoscessero la verità sui miei gesti, vorrei che potessero vedere quello che avevo dentro. Tutto qua.
La seconda cosa che ho notato è la diversità fra la mia percezione di quegli anni e quella della maggior parte delle ragazze e dei ragazzi che erano a scuola con me. Mentre per loro sono anni da ricordare con affetto per me sono anni terribili il cui ricordo mi lacera il cuore ancora oggi. E mentre molte delle persone che poi sono cresciute e si sono sposate, hanno avuto figli, sono emigrate, sono tornate single o lo sono sempre state parlano di quegli anni come di momenti magici io riesco solo a ricordare un buio terribile e una gran solitudine. E l’unica risposta che riesco a darmi è che l’essere gay, in quegli anni, in quei posti, in quella scuola, ha contribuito al mio isolamento. E non perché ci fosse qualcosa di sbagliato in me, sia chiaro. È per dire che chi sostiene che il bullismo omofobo e l’omofobia non esistono ha davvero una gran faccia tosta.
Il mio isolamento è cominciato alle medie. Uscivo per il paese e mi offendevano, andavo a scuola e mi davano della checca e del frocio, uscivo con un amico (etero e nei confronti del quale non ho mai provato attrazione) e tutti dicevano che ci andavo a letto (avevo 14 anni, ho cominciato ad avere una sessualità attiva a 21 anni). Questo ha portato a una chiusura, ho chiuso fuori il mondo, ho chiuso fuori la mia vita. Mi sono impedito di vivere per anni. Se mia madre mi chiedeva di andare in piazza a comprare qualcosa io mi sentivo male, uscivo, cercavo le vie deserte, se in lontananza vedevo dei coetanei tornavo indietro, cambiavo strada, correvo per non farmi vedere. Ero terrorizzato dagli altri.
E mentre affiorano ricordi “belli” per gli altri per me ci sono solo ricordi di estrema sofferenza: i cinque ragazzi che mi inseguono con la macchina urlandomi parole orribili e frasi volgari mentre qualche adulto ride, la paura che qualcuno poi lo riferisse ai miei genitori, il tempo passato a casa in attesa di una chiamata che non è mai arrivata. Quella volta che sono andato a scuola, l'ultimo  giorno prima delle vacanze estive, per aiutare un amico nell’interrogazione e mi sono ritrovato cinque ore, da solo, in classe perché lui era con gli amici etero. O quando salivo sulla corriera e mi spintonavano dandomi del frocio, o quando scendevo dalla corriera e qualche ragazzo della scuola vicino mi dava del frocio. E sì, ogni giorno qualcuno mi dava del frocio. O la ragazza di quinta che quando mi vedeva cominciava a fare la vocetta e diceva “checca”, o il professore di inglese che andava in giro a dire che a San Valentino mi avrebbe regalato un mazzo di finocchi. O le volte che mi sono stretto una cintura al collo e non ho mai avuto il coraggio di stringere sino alla fine.
E di quegli anni io ricordo solo Debora e Elena. Solo quando penso a loro il ricordo si illumina. Per il resto immagino la graziosa “Tristezza” di Inside out toccare ogni ricordo per trasformarlo in qualcosa di brutto.
E mentre scrivo mi rendo conto che dall’adolescenza in poi è stato tutto un percorso di liberazione. Ho cominciato a stare bene con me stesso e con il mondo, ho smesso di essere una persona rancorosa e invidiosa, ho smesso di pensare alla morte solo quando mi sono accettato. Solo quando ho capito che potevo essere me stesso, che solo così, aprendomi al mondo, il dolore se ne sarebbe andato. Portando con me solo l’aspetto buono della mia adolescenza, le amiche del cuore, i rari momenti di allegria e lasciando indietro tutto il resto.
Eppure non riesco a sottrarmi, oggi, a questi pensieri. Non riesco davanti all’idea che avrei potuto essere un ragazzo felice se intorno a me ci fosse stata una società aperta e non omofoba e ignorante, a non pensare che quegli anni sarebbero stati molto diversi. Oggi però ho l’opportunità di raccontarli quei Sedici anni e spero di contribuire, nel mio piccolo, a rendere migliori quelli di qualche ragazza/o.


8 commenti:

  1. Sai Marino, io ho un figlio maschio, che ora sta per compiere 28 anni. Ricordo ancora che quando era piccino più di un deficiente (perchè solo così li si può chiamare) mi chiedeva: "ma se tuo figlio, quando sarà grande invece di portarti a casa una ragazza ti portasse un ragazzo, tu come reagiresti?" e io a tutti quanti ho sempre risposto: "per me è importante che sia felice, poi con chi, non ha importanza, l'unica cosa che mi rattristerebbe è che so perfettamente che per lui sarebbe una vita difficilissima, finchè ci sono persone come te che fanno domande così idiote." E quello che hai scritto oggi, mi convince che davvero sarebbe stata un'adolescenza difficilissima e travagliata. Lo è stata comunque, perchè lui così educato, gentile e rispettoso con tutti è stato oggetto di atti di bullismo che non ti sto nemmeno a raccontare. Non per tutti, nemmeno per gli etero, l'adolescenza è un bel ricordo. E non ti stare a crucciare per le cattiverie che puoi aver fatto, le hai scontate duramente. Non sono abbastanza "grande" per poter essere tua mamma, ma se lo fossi stata ti avrei voluto bene per quello che eri, e per quello che sei diventato: una bella persona.

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    1. Grazie Giliola, spero che attraverso il libro emergano tutte queste storie di ordinario bullismo. Grazie ancora. Marino

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  2. Io vado per i 25 anni invece, quindi ormai da quando iniziai il liceo ne sono passati quasi dieci, eppure anch'io spesso sento di essere ancora intrappolata in quel che provavo da adolescente. A dir la verità il periodo più brutto della mia vita son state le medie, tre anni in cui venivo quotidianamente presa in giro dai maschi. Il che ha praticamente distrutto la mia autostima e dato grandi problemi a relazionarmi con i coetanei in generale e quelli dell'altro sesso in particolare. Anch'io, come te, facevo giri folli per evitare di passare davanti ai gruppi di coetanei, e se proprio ero costretta lo facevo a testa bassa e passo svelto sicura che sarei stata additata e derisa. Non ho mai detto nulla a nessuno perché mi vergognavo, e tenendomi dentro i problemi e il disagio ho sofferto tanto e a lungo. Quando finalmente ho parlato, solo un anno fa, ho iniziato pian piano a liberarmi e sono persino andata ad una cena con quelle persone sperando che mi avrebbe permesso di mettere definitivamente una pietra sopra quella fase della mia vita. Ma non è successo, perché quelle persone sono cresciute e cambiate (forse) ma nella mia memoria

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  3. restano le parole cattive che mi hanno detto. Se c'è una cosa che ho imparato è che dipende tutto da noi, che dalle persone più vicine possiamo aspettarci ascolto e comprensione, ma il resto sta tutto a noi. Soprattutto, che non dovremmo mai permettere al mondo esterno di condizionare la nostra visione di noi stessi al punto da ammalarci (com'è successo a me). Convincersene è un lavoro davvero duro e io ci sto ancora faticando su... Ma sapere di avere iniziato e aver fatto dei passi avanti sembra già un enorme risultato.

    Posso davvero comprendere quanto hai scritto in questo post - anche se per motivi diversi -, e credo che la profondità di questo vissuto possa essere realmente compresa solo da chi ci è passato. Perciò ti sono davvero vicina, anche se ti conosco, e ti auguro di rendere la tua esperienza utile a qualcuno simile a te, che così si sentirà meno solo. E a te sembrerà di aver sofferto meno inutilmente.

    Un abbraccio

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    1. Julia J., mi sa che alle medie abbiamo avuto un'esperienza molto simile.
      E sì, ti resta dentro per sempre, come un blocco (se ne andrà mai?). E sì, è normale, credo, sentirsi tuttora a disagio ricordando certe persone. E non avere voglia di rivederle.

      Grazie per lo sfogo, Marino. E' importante condividere certe cose, e sono sicura che sarà utile a tanti :)

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  4. Posso solo immaginare come ti sei sentito. Io so che alle medie sono stata per tutto il tempo derisa, insultata, ferita. L'anno scorso sono andata ad una cena con quelle stesse persone, tremando un po', ma decisa a non fuggire. E' stata una serata splendida. Mancava, grazie a dio, il bullo di classe, che a detta degli altri e' rimasto stronzo come allora, e si è autoescluso dal gruppo. Una rivincita.

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