Mi ritengo una
persona estremamente pratica, forse un po’ cinica ma cerco sempre
di tenere i piedi ben piantati per terra. Sarà che provengo da una
famiglia proletaria, questa parola che ormai non si usa più, sembra
quasi che ci vergogniamo ad usarla. Papà operaio, mamma casalinga,
una sorella e un fratello più grandi. Eravamo una di quelle famiglie
in cui un maglione si tramandava per diversi anni dal più grande al
più piccolo. Soldi pochi, dignità tantissima. Il nascere in una
famiglia proletaria mi ha insegnato un po’ di cose. La prima è che
le occasioni te le devi creare, che per raggiungere i tuoi obiettivi
non serve desiderare di farcela, occorre farsi il mazzo. Che non
troverai molte porte aperte sul tuo cammino, che sarà, in un certo
senso, tutto più difficile. L’avere pochi soldi ha influenzato
tutta la mia esistenza: la scelta della scuola, per esempio,
l’inserimento nel mondo del lavoro prestissimo (quattordici anni)
ed è stato tutto un continuo sino ad oggi: studio, lavoro, crisi
esistenziali, lavoro, scrittura, lavoro ecc…
Ho sempre amato la
letteratura, come sapete, per me smettere di fare il cuoco ha
significato abbandonare un vestito troppo stretto che non sopportavo
più. Ho cercato in ogni modo di portare la mia vita esattamente nel
punto in cui è oggi . Non sono mancate delusioni cocenti, sacrifici
di ogni genere, stanchezza emotiva e fisica. E spesso, lo dico senza
paura, mi sono reso conto che gli obiettivi raggiunti non erano
importanti, la disillusione ha quasi sempre avuto la meglio.
Sono un uomo
fortunato, lo dico senza ironia, nascere “proletario” è stata
una benedizione, mi ha aiutato a capire le cose importanti nella
vita.
Per questo mi
infastidisce chi, in tv o sui giornali, continua a proporre un mondo
editoriale e letterario che non esiste più. E non sopporto chi da
consigli. Davvero. Ma consigli di cosa? Su cosa scrivere? Su come
scrivere? Davvero?
Ma ciò che non
sopporta più di tutto sono le balle che si raccontano nel mondo
editoriale.
Certo è un mondo
che amo, certo ci sono centinaia di casi fortunati ma smettiamola,
per favore, di spacciare libri di intrattenimento per capolavori solo
perché la casa editrice di turno è riuscita ad ottenere un buon
marketing.
Allora, partiamo
dalle basi.
Ci sono autori
(spesso maschi) che prendono acconti stratosferici dalle case
editrici. Sono pochi ma ci sono. Ed nei commenti mi fa giustamente notare che esistono case editrici che concedono acconti dai 5 ai 10.000 euro. Poi ci sono molti autori che riscono
ad ottenere dalle case editrici acconti accettabili (dai mille ai
duemila euro di solito) e poi ci sono moltissimi autori e moltissime
autrici che non riescono ad ottenere neppure l’acconto e che sono
contenti di pubblicare gratis senza sapere che il viaggio è appena
iniziato e che spesso la barca affonda dopo pochi metri dalla riva.
Solitamente sino a
quando la casa editrice non ha ripreso i soldi dell’acconto
all’autore non spettano altri soldi. Un autore, di solito, prende
una percentuale che va dal 6 al 12% sul prezzo di copertina del
singolo libro.
Quindi se io ho
preso un acconto di mille euro sino a quando la casa editrice non ha
recuperato quei mille euro non mi spetta nulla sulle vendite, oltre i
mille euro mi spetta una percentuale. Mettiamo che prendo il 8% e un
libro costa 10 euro. Qual è il mio guadagno su una copia del
romanzo?
Lascio a voi questa
semplice operazione per farvi rendere conto di quanti libri dovrei
vendere per coprire l’acconto ricevuto e ricominciare a guadagnarci
qualcosa.
Capisco l’esigenza
di alcuni di farsi grandi o di altri di voler far credere al pubblico
che esiste ancora una magia nel mondo letterario ma l’unica magia
che ancora esiste è la bellezza di alcune storie. Il discorso vale
anche per i cantanti, per esempio. Ormai dalla vendita dei cd non
guadagnano più nulla, i guadagni vengono dai concerti e dal
merchandising. Ma quanti sono i cantanti, oggi in Italia, che
riescono a riempire stadio, arene, parchi?
Insomma non possiamo
scrivere e basta? C’è davvero bisogno di far credere cose che non
sono vere? Abbiamo davvero bisogno di farci grandi sulle ceneri di un
mondo che non esiste più?